L'impero Ramsay atterra in Sardegna

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L'impero Ramsay atterra in Sardegna

Messaggio da Meridiano » 15.10.12 - 15:04

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«Jamie who? I'm too busy to watch telly». Gordon Ramsay, 41 anni, decine di ristoranti in giro per il mondo e decine di stelle Michelin guadagnate, jet privato, 1500 chef e camerieri nel suo team, tanti libri all'attivo e più d'una serie televisiva cult ("Hell's Kitchen" e "The F Word"): il cuoco (forse) più celebre al mondo sa ancora essere una simpatica canaglia scozzese, bravo a giocare a fare il bugiardo. Ci dice di essere troppo impegnato per guardare la televisione e per conoscere il suo collega/rivale Jamie Oliver.
Da nemmeno un mese Ramsay è sbarcato in Italia e ha aggiunto in Sardegna un altro ristorante al suo carnet internazionale di locali. La location, ovviamente, non poteva che essere la migliore e più strategica possibile, il Forte Village. Il ristorante è posizionato su una terrazza fronte mare chiusa tra l'Hotel Castello e le suite sulla spiaggia.
Pochi coperti per pochi fortunati che potranno provare la sua modern british cuisine: francese nelle basi tecniche, internazionale nelle influenze, locale nella scelta degli ingredienti. E sempre – dogma del "Ramsay style" – leggera e salutare.

L'impero Ramsay nasce in Scozia, quando un infortunio serio blocca sul nascere una promettente carriera da calciatore nei Rangers. «La cucina per me ha rappresentato una via di fuga quando sono stato costretto a smettere con i campi di calcio. A 19 anni iniziai a lavorare in Inghilterra ma non ero così entusiasta finché non andai in Francia. A 22 anni, Parigi mi confermò che la cucina era la mia passione. Ho passato anni nelle cucine di Guy Savoy e Joël Robuchon. In Francia anche i poveri mangiano bene e c'è un livello di rispetto per il cibo incredibile. Sono diventato francese (lingua che parla con squisito accento, ndr). Ero ossessionato dagli ingredienti e dalla voglia di fare le cose al meglio che potevo. Quando non ci riuscivo diventavo matto».
Evidentemente le cose sono riuscite anche meglio del previsto, tanto da consentirgli di aprire (e a volte a chiudere) ristoranti con una facilità incredibile. «Oggi il mio mondo è diventato un business, ma io non cerco il business. Io cucino e cucino bene e questo è tutto, non sono uno star chef». Per la seconda volta, in pochi minuti di intervista, facciamo finta di credegli.

Ma quando parla di Italia, il suo sguardo brilla sinceramente. La storia d'amore con il nostro paese è iniziata su uno yacht privato tra la Sicilia e la Sardegna, dove lavorava come chef. Poi, nel 2000, uno chef italiano in brigata l'ha lentamente avvicinato ai piatti italiani. Oggi ci parla di Nadia Santini e del Pescatore come di uno dei suoi ristoranti preferiti di sempre e di Nino Pieropan come del produttore di uno dei migliori vini bianchi al mondo. Il passo successivo non poteva che essere la "firma" su un ristorante italiano: in realtà a brevissimo saranno due, entrambi per il gruppo Eleganzia. Uno è quello del Forte Village, l'altro sarà quello del Castel Monastero, nuovissimo relais aperto a giugno scorso a Castelnuovo Berardenga (Siena).
Firmato vuol dire – magia del marketing – sovrintendere alla nascita e all'organizzazione del progetto, scegliere gli ingredienti, pensare al menù, creare una squadra di fiducia (il ristorante è in mano al bravissimo Leonardo Concezzi, executive chef di tutti i ristoranti del Forte, impegnato in prima persona con una brigata di giovanissimi) e risalire sul jet privato.

Quello del Ramsay al Forte Village, in ogni caso, è un progetto meno scontato e facile di quanto si possa pensare. Si tratta di trovare un compromesso tra la propria personalità e idea di cucina e un pubblico internazionale che, nel migliore dei casi, si scopre gourmet una settimana l'anno oppure chiede ancora gli spaghetti al pomodoro. La formula sembra funzionare.
Merito della filosofia di Ramsay e del suo british touch: «È un riuscito mix di influenze europee, Italia e Francia in testa. Lo stile inglese ha un approccio semplificato ma con un'intensa distribuzione del sapore nei piatti. La stagionalità è la cosa più importante, poi viene la location e la scelta e la qualità degli ingredienti. I ristoranti devono essere "boutique style", intimi e controllabili nel dettaglio, con pochi coperti. Non devono diventare troppo preziosi con il cibo, devono rimanere focalizzati sul sapore, i piatti devono avere pochi fronzoli e pochi ingredienti, rigorosamente locali. Non bisogna intimidire il cliente, che deve sempre rilassarsi e divertirsi. Al ristorante non bisogna mai sentirsi come dentro a un tempio. L'atmosfera deve essere rilassata, il servizio preciso ma discreto».



Il piatto più emblematico in carta (e quello di cui lui va più fiero) è il confit di pomodoro con gelato all'olio extravergine di oliva. Ottimo, in effetti. Tra le altre proposte la fregola mantecata a mò di risotto con brodo di rapa rossa, panna acida e mosciame di tonno, i ravioli ripieni di coda alla vaccinara con salsa di pomodoro e ricci di mare, il branzino grigliato con salsa di mango e papaia, lo stracotto di guanciale di chianina con scalogno e carciofi glassati (citazione, come da sua consuetudine, dell'altro Ramsay in Toscana), il sorbetto ai lamponi e zenzero e composta di rabarbaro. Semplicità, in fondo, ed educazione al gusto sono sempre stati i punti fermi della sua comunicazione: «If you eat well, you cook well».

Fonte: gordonramsay.com
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Messaggio da RUMePERA » 15.10.12 - 15:05

Il suo è uno dei pochissimi programmi TV che guardo con piacere! E' un mito!
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