I Bidoni del calcio italiano
Uno non si vede, ma per associazione credo sia Jose Mari, strappato dopo un'asta all'ultimo Euro alla Roma.
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Re: I Bidoni del calcio italiano
L'altro è Javi MorenoRUMePERA ha scritto:Uno non si vede, ma per associazione credo sia Jose Mari, strappato dopo un'asta all'ultimo Euro alla Roma.
Re: I Bidoni del calcio italiano
Javi Moreno era quello visibile, al momento in cui ho scritto il messaggioMascarinho ha scritto:L'altro è Javi MorenoRUMePERA ha scritto:Uno non si vede, ma per associazione credo sia Jose Mari, strappato dopo un'asta all'ultimo Euro alla Roma.
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Re: I Bidoni del calcio italiano
un altro bidone milanista...
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Re: I Bidoni del calcio italiano
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Athirson Mazzolli De Oliveira
Luogo di Nascita:
Rio de Janeiro (Brasile)
Data di Nascita:
16/01/1977
Ruolo:
Difensore
Posizione:
Terzino Sinistro
Squadra:
Juventus
Athirson Mazzolli De Oliveira nasce da una famiglia benestante (il padre è un Ufficiale in pensione), quindi inizierà a tirare calci al pallone non per necessità, quanto più per ammazzare il tempo. Però la qualità c’è, tanto che gli osservatori del Flamengo ben presto lo adocchiano, e in poco tempo riesce a percorrere la scalata delle varie rappresentative Nazionali (Under 17, Under 20 e poi addirittura la Selecao). nel 1998 va in prestito al Santos, e si mette in mostra come un irresistibile terzino sinistro dal gol facile. E facile è anche l’accostamento a Roberto Carlos, il che gli vale la chiamata della Juventus nella primavera del 2000. Però la trattativa con il Flamengo, proprietario del cartellino, non è semplice: alla fine, quindi, i bianconeri aspettano che il terzino si svincoli il 31 Dicembre per poi tesserarlo a inizio 2001. A quel punto il Flamengo tira in ballo un accordo precedente con il procuratore del giocatore, ma a seguito di un complesso contenzioso legale la Juventus ottiene dalla Fifa un permesso provvisorio, grazie al quale il 23 Febbraio 2001 Athirson diventa un giocatore bianconero a tutti gli effetti. “Una vicenda che mi ha tenuto in ansia – confessa il giocatore durante la conferenza stampa – si sono comportati in modo ingiusto con me quelli del Flamengo, ma sono felice che ora sia tutto risolto e non vorrei più parlare di questa vicenda”. Ovvio. Moggi: “La Juventus cercava da tempo un laterale sinistro, capace di andare sulla fascia e crossare per le punte. Troppo caro e inarrivabile Roberto Carlos, si spera che Athirson sia il suo erede, anche se le sue attitudini preferite sono gli assist e i gol”. Le ultime parole famose. Scenderà in campo per la prima volta il 1 Aprile 2001 (Pesce d’Aprile!) allo Stadio “Delle Alpi”, sostituendo Zidane nel secondo tempo, con la Juventus in vantaggio per 1-0 sul Brescia, che dopo pochi minuti pareggia con il “Divin Codino” Roby Baggio. La partita terminerà in pareggio, cosa che complica il cammino dei bianconeri verso lo Scudetto. Da quel momento il terzino vedrà il campo solo in alcuni spezzoni di partita, tutti deludenti, e il campionato viene vinto dalla Roma di Capello. Con il ritorno in panchina di Lippi nel campionato successivo per Athirson le cose non migliorano,anzi: il tecnico snobba completamente il brasiliano e, alla fine, Moggi si convince a cederlo. Ad un anno esatto dal suo ingaggio, nel Gennaio del 2002 viene spedito in prestito al “suo” Flamengo. Non tornerà mai più. Il contratto verrà rescisso nel 2003 e da quel momento (per la verità già da un po’) inizia la sua parabola discendente, prima con il Cruzeiro di Belo Horizonte, poi in Germania, successivamente ancora in Patria, ma restando sempre nel più totale anonimato.
N.B.:gioca nella Portuguesa
To be continued..
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Re: I Bidoni del calcio italiano
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Mario Jardel
Luogo di Nascita:
Fortaleza (Brasile)
Data di Nascita:
18/09/1973
Ruolo:
Attaccante
Posizione:
Centravanti
Squadra:
Ancona
Fino a qualche stagione fa non passava estate in cui il nome di Mario Jardel non finisse nel mirino dei principali club italiani. Pare che ci fosse andata particolarmente vicina la Juve, ma sembra che le caratteristiche tecniche dell’attaccante brasiliano non soddisfacessero le esigenze di Lippi. In realtà era considerato uno dei migliori attaccanti del calcio europeo, non fosse altro perché era il più prolifico di tutti: anche per questo si era guadagnato l’appellativo di “Supermario”. Eppure per molti addetti ai lavori, il suo successo dipendeva più dalla scarsa qualità del campionato in cui militava (quello portoghese) che dalla sua innegabile abilità sotto porta. Di sicuro il fattore estetico non lo aiutava di fronte agli occhi degli operatori di mercato, che da lui si aspettavano dribbling, velocità, scatto fulminante, e venivano invece prontamente ricambiati con un’immobilità quasi irritante in mezzo all’area ed un piede spigoloso e non troppo preciso. A tutto questo, però, Jardel ha sempre sapientemente sopperito con una valanga di gol, soprattutto di testa, grazie ad una favolosa elevazione. Un fiuto per il gol che ha regalato tante soddisfazioni ai tifosi del Porto a metà anni 90, ma una tecnica rozza e per niente sudamericana che non gli ha mai permesso di accedere ai grandi club europei. Ironia della sorte è approdato al campionato italiano nel momento più triste della sua carriera, in una squadra (l’Ancona) che dall’inizio del campionato aveva già cambiato tre allenatori (Menichini, Sonetti e Galeone) e che pur essendo ormai spacciata si aspettava da lui una miracolosa salvezza a suon di gol. Nonostante le ottime stagioni al Porto, stranamente per lui le offerte latitavano, e finì così a giocare in Turchia, al Galatasaray. Ventidue gol in ventiquattro presenze e pubblico turco in visibilio per il loro nuovo eroe. Nell’estate del 2000 lo Sporting Lisbona riesce, attraverso un incredibile marchingegno di scambi di giocatori, a portarlo di nuovo in Portogallo: sarà la stagione più bella della sua carriera, con una media gol da togliere il fiato. Oltre a ben figurare in Coppa Uefa (eliminato dal Milan) vincerà Campionato, Coppa di Portogallo e l’ambita Scarpa d’Oro. Poche settimane dopo inizierà per lui un lungo calvario: il divorzio dalla moglie, una famosa showgirl brasiliana, lo getterà in una crisi depressiva fortissima, aggravata dalla lotta per l’affidamento dei figli e dalle ineleganti dichiarazioni della consorte. L’eroe del momento catapultò così nella polvere. Non rientrò dal Brasile, lo Sporting minacciò di rescindere il contratto, cercando nel frattempo un acquirente (invano) per un calciatore diventato improvvisamente scomodo (Espanyol e Betis cercarono di ingaggiarlo ma non erano disposte a pagarne il prezzo del cartellino). Nessuna clinica riesce a curarlo, rimane a Lisbona ma sarà una stagione da dimenticare. Svalutato, finisce a lottare per la salvezza in Premier League al Bolton: non gioca e non segna e dopo meno di sei mesi il matrimonio finisce, complice la provvidenziale offerta dell’Ancona, che lo acquista con la formula del prestito con diritto di riscatto. Il giorno della presentazione, il 19 Gennaio 2004, è una tristezza unica: è alto quasi un metro novanta ma l’altezza non basta a mascherare una forma scadentissima (sembrava che si fosse nascosto il pallone sotto la maglietta). L’inizio è tragicomico: viene presentato in occasione di Ancona-Perugia. Prima della gara vuole salutare i tifosi e si dirige sotto la curva. Purtroppo (complice una similitudine cromatica) è quella occupata dai tifosi del Perugia e il Team Manager dell’Ancona Gianluca Petrachi ex giocatore di entrambe le squadre) è costretto a ricondurlo di fronte ai suoi veri tifosi. Ha la sfortuna di esordire contro il Milan capolista nella domenica in cui viene “silurato” Sonetti: è pesante, corre poco e come se non bastasse il suo compagno di reparto (Grabbi) si infortuna dopo appena venti minuti. Un giornalista raccontò così la sua prestazione: «Stendiamo un velo di silenzio in rispetto di quello che è stato». Dopo appena 3 presenze, il 29 Marzo la società marchigiana, disperata dalle sue prestazioni, decide di rescindere il contratto e lo rispedisce al Bolton. E’ ormai alla frutta: nel Gennaio del 2007 tenta la disperata carta del campionato di Cipro, ma è un mezzo fisco; la stagione seguente strappa un ingaggio in Australia, dove però non riesce a segnare e nell’estate del 2008 torna in Brasile. E’ il caso di dire che in Italia l’ex grande “Supermario” si mangiava i gol invece di segnarli, vista la sua pancia strabordante.
N.B.Gioca nel Cerno More Varna
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Re: I Bidoni del calcio italiano
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Josè Mari
Luogo di Nascita:
Siviglia (Spagna)
Data di Nascita:
10/12/1978
Ruolo:
Attaccante
Posizione:
Seconda Punta
Squadra:
Milan
José Maria Romero Poyon, meglio conosciuto come José Mari, cresce calcisticamente nella seconda squadra del Siviglia, guadagnandosi giovanissimo la chiamata della prima squadra, con la quale fa il suo esordio nella Liga nel Febbraio del 1997 contro il Real Sociedad. Alla fine della stagione, anche in seguito alla retrocessione della sua squadra passa, all’età di 19 anni, nell’Atletico Madrid, club che diventerà il più importante della sua carriera, visto che lo ha lanciato a grandi livelli e gli ha permesso di esordire nella Nazionale spagnola. Il tecnico Antic ne fa il jolly da mandare in campo nella ripresa per devastare le difese avversarie e il ragazzo risponde alla grande. Con Sacchi, in difficoltà per la partenza di Vieri e l’infortunio di Kiko, viene trasformato in punta e a suon di gol e di prestazioni maiuscole si attira le attenzioni dei club più importanti d'Europa. Dopo tre anni in cui ha vestito la maglia della seconda squadra di Madrid, passa quindi per circa 40 miliardi di Lire al Milan nel Dicembre 1999. L’allora tecnico rossonero Zaccheroni però, considera inamovibili Bierhoff e Shevchenko e Josè Mari deve quindi giocarsi una maglia con Boban e Leonardo. Alla fine viene considerato quarta punta e, vista la sua vena realizzativa non certo esaltante (appena 5 gol in 3 anni), anche a causa di una fastidiosa pubalgia che lo ha continuamente tormentato, finisce per essere ceduto. Una curiosità: appena giunto a Milano, non poté indossare la sua usuale maglia numero 14, numero scelto come tributo al suo idolo, Johan Cruijff, poiché già assegnata ad un altro giocatore. Così scelse di ribaltare le cifre e prese la maglia numero 41. Non si può dire che gli abbia portato fortuna anzi: forse è stata proprio la scelta di invertire tali numeri a contribuire alla sua “allergia” al gol. Nell’estate del 2003 torna all’Atletico Madrid, disputando un buon campionato (segnando comunque sempre pochissimo). L’anno seguente viene ceduto al Villarreal, squadra dell'omonima città a nord di Valencia che vince la Coppa Intertoto e si qualifica per la Champion’s League. Nella stagione 2005/06 trascina la squadra alla semifinale della Coppa e all’ottavo posto in campionato. Nel 2007 passa al Betis Siviglia. Attaccante rapido, dotato di ottima tecnica e buon saltatore, risulta spesso fondamentale in chiave offensiva pur realizzando pochi gol. Josè Mari è tra i più grandi talenti che vanta il campionato spagnolo pur non facendo parte della squadra Nazionale che partecipò ai Mondiali del 2006 in Germania. E una ragione ci sarà pure: ce n’è di gente che segna più di lui!
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Re: I Bidoni del calcio italiano
Jose Mari'... mi ricordo che si presento come un fenomeno... poi aveva sempre problemi di pubalgia... che delusione sto calciatore
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Re: I Bidoni del calcio italiano
ahahahaha preparatevi..
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Vratislav Gresko
Luogo di Nascita:
Presburg (Slovacchia)
Data di Nascita:
24/07/1977
Ruolo:
Difensore
Posizione:
Terzino Sinistro
Squadre:
Inter,
Parma
Chi ama l’Inter (ma anche chi la odia) non può non ricordarsi di Gresko: è il fantasma che infesta i propri sogni sportivi, è l’incarnazione delle proprie infelicità calcistiche. Gresko, biondo terzino sinistro, muove i primi passi nel Dukla Banska Bystrica, poi nel 1997 entra a far parte a pieno titolo del calcio professionistico, con la maglia dell’Inter Bratislava (forse un segno del destino). Il salto di qualità avviene nel 1999: il Bayer Leverkusen lo acquista dandogli la possibilità di disputare anche la Champion’s League, ma lo slovacco è chiuso nel suo ruolo da Ze Roberto e allora c’è chi ipotizza, giustamente, una sua cessione. Nel frattempo, Gresko diventa titolare inamovibile della sua Nazionale Under 21, e nella fase finale degli Europei del 2000 incontra (giocando anche bene) l’Italia allenata da Marco Tardelli. La sorte – o la malasorte nella fattispecie – vuole che proprio Tardelli il 7 Ottobre venga assunto come tecnico dell’Inter. A quel punto c’è poco tempo per fare mercato, e il nuovo allenatore va a memoria: si ricorda di aver patito, qualche mese prima, un lungagnone biondo di nome Gresko, e decide di farlo ingaggiare. Venerdì 27 Ottobre 2000: dieci minuti prima del termine ultimo per depositare i contratti in Lega Vratislav è ufficialmente un giocatore dell’Inter. Costo dell’operazione: circa 9 miliardi di Lire più un altro miliardo e mezzo per far arrivare il giocatore da subito e non a Gennaio: soldi ben spesi (dicono i dirigenti milanesi) per quello che dovrà essere l’erede di Brehme e Roberto Carlos. «So di essere l’atleta più famoso e più costoso della Slovacchia ed è una grande responsabilità per me, anche per ripagare il mio nuovo club dei soldi spesi per me» ammette Gresko. Infatti il suo esordio è assolutamente positivo: una bella gara e un assist per Recoba nel 2-0 casalingo contro la Roma. Gresko sembra poter reggere addirittura da titolare: nel suo ruolo, a differenza di Leverkusen, non è chiuso da nessuno. Questo è il problema. Le pagine successive della sua avventura andrebbero ascoltate, più che lette: tanti, sonori fischi e pochissime cose belle viste in campo. L’avvicendamento in panchina tra Tardelli e Cuper non sembra portare giovamenti: nella stagione 2001/02 lo slovacco è ancora lì, per l’amarezza dei tifosi nerazzurri. La scena madre: 5 Maggio 2002, l’Inter deve battere l’arrendevole Lazio all’Olimpico per laurearsi Campione d’Italia, la festa è pronta. Ma le incredibili “papere” di Gresko in fase difensiva permettono ai biancocelesti di vincere, quasi senza volerlo, per 4-2 e alla Juventus di conquistare il tricolore. Si scopre che anche a Bratislava e a Leverkusen, qualche anno prima, era andata a finire così, e c’era Gresko in campo. Strana coincidenza. Nel dubbio, i supporter dell’Inter organizzano ronde per “cacciarlo” nel centro di Milano: Gresko si rifugia a Bratislava («So che ce l’hanno con me e mi dispiace, non ci dormo la notte. Ma non sono l’unico colpevole» dichiara in quei giorni). Il suo nome è sulla bocca di tutti: in poco tempo diventa l’anti-eroe del pallone per eccellenza. In estate l’Inter è costretta a darlo in prestito, visto che nessuna squadra vuole acquistarlo, e così arriva a Parma, dove colleziona quattro spezzoni di partita in tutta la stagione. Il pubblico italiano non riesce a trattenere le risate in sua presenza, e a Gennaio 2003 è costretto ad imbarcarsi per Blackburn, dove finalmente sembra riuscire ad esprimersi al meglio. Tant’è che il club allenato da Graham Souness decide di riscattare il suo cartellino, facendogli firmare un triennale che tuttora le due parti rispettano con reciproca soddisfazione. «Siamo felici che Vratislav faccia parte ufficialmente della nostra squadra», ha riferito il direttore generale John Williams al sito ufficiale della squadra. E siamo felici anche noi di non vederlo più in azione negli stadi italiani.
N.B.Dopo il Blackburn,ha giocato nel Norimberga e nel Bayer Leverkusen.Attualmente è svincolato.
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Vratislav Gresko
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Presburg (Slovacchia)
Data di Nascita:
24/07/1977
Ruolo:
Difensore
Posizione:
Terzino Sinistro
Squadre:
Inter,
Parma
Chi ama l’Inter (ma anche chi la odia) non può non ricordarsi di Gresko: è il fantasma che infesta i propri sogni sportivi, è l’incarnazione delle proprie infelicità calcistiche. Gresko, biondo terzino sinistro, muove i primi passi nel Dukla Banska Bystrica, poi nel 1997 entra a far parte a pieno titolo del calcio professionistico, con la maglia dell’Inter Bratislava (forse un segno del destino). Il salto di qualità avviene nel 1999: il Bayer Leverkusen lo acquista dandogli la possibilità di disputare anche la Champion’s League, ma lo slovacco è chiuso nel suo ruolo da Ze Roberto e allora c’è chi ipotizza, giustamente, una sua cessione. Nel frattempo, Gresko diventa titolare inamovibile della sua Nazionale Under 21, e nella fase finale degli Europei del 2000 incontra (giocando anche bene) l’Italia allenata da Marco Tardelli. La sorte – o la malasorte nella fattispecie – vuole che proprio Tardelli il 7 Ottobre venga assunto come tecnico dell’Inter. A quel punto c’è poco tempo per fare mercato, e il nuovo allenatore va a memoria: si ricorda di aver patito, qualche mese prima, un lungagnone biondo di nome Gresko, e decide di farlo ingaggiare. Venerdì 27 Ottobre 2000: dieci minuti prima del termine ultimo per depositare i contratti in Lega Vratislav è ufficialmente un giocatore dell’Inter. Costo dell’operazione: circa 9 miliardi di Lire più un altro miliardo e mezzo per far arrivare il giocatore da subito e non a Gennaio: soldi ben spesi (dicono i dirigenti milanesi) per quello che dovrà essere l’erede di Brehme e Roberto Carlos. «So di essere l’atleta più famoso e più costoso della Slovacchia ed è una grande responsabilità per me, anche per ripagare il mio nuovo club dei soldi spesi per me» ammette Gresko. Infatti il suo esordio è assolutamente positivo: una bella gara e un assist per Recoba nel 2-0 casalingo contro la Roma. Gresko sembra poter reggere addirittura da titolare: nel suo ruolo, a differenza di Leverkusen, non è chiuso da nessuno. Questo è il problema. Le pagine successive della sua avventura andrebbero ascoltate, più che lette: tanti, sonori fischi e pochissime cose belle viste in campo. L’avvicendamento in panchina tra Tardelli e Cuper non sembra portare giovamenti: nella stagione 2001/02 lo slovacco è ancora lì, per l’amarezza dei tifosi nerazzurri. La scena madre: 5 Maggio 2002, l’Inter deve battere l’arrendevole Lazio all’Olimpico per laurearsi Campione d’Italia, la festa è pronta. Ma le incredibili “papere” di Gresko in fase difensiva permettono ai biancocelesti di vincere, quasi senza volerlo, per 4-2 e alla Juventus di conquistare il tricolore. Si scopre che anche a Bratislava e a Leverkusen, qualche anno prima, era andata a finire così, e c’era Gresko in campo. Strana coincidenza. Nel dubbio, i supporter dell’Inter organizzano ronde per “cacciarlo” nel centro di Milano: Gresko si rifugia a Bratislava («So che ce l’hanno con me e mi dispiace, non ci dormo la notte. Ma non sono l’unico colpevole» dichiara in quei giorni). Il suo nome è sulla bocca di tutti: in poco tempo diventa l’anti-eroe del pallone per eccellenza. In estate l’Inter è costretta a darlo in prestito, visto che nessuna squadra vuole acquistarlo, e così arriva a Parma, dove colleziona quattro spezzoni di partita in tutta la stagione. Il pubblico italiano non riesce a trattenere le risate in sua presenza, e a Gennaio 2003 è costretto ad imbarcarsi per Blackburn, dove finalmente sembra riuscire ad esprimersi al meglio. Tant’è che il club allenato da Graham Souness decide di riscattare il suo cartellino, facendogli firmare un triennale che tuttora le due parti rispettano con reciproca soddisfazione. «Siamo felici che Vratislav faccia parte ufficialmente della nostra squadra», ha riferito il direttore generale John Williams al sito ufficiale della squadra. E siamo felici anche noi di non vederlo più in azione negli stadi italiani.
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Re: I Bidoni del calcio italiano
Amo questo 'giocatore'. :bacio:
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Re: I Bidoni del calcio italiano
Caio Ribeiro Decoussau
Storia simile a quella di Pato. Esplode giovanissimo, va in Italia però il papero milanista sta facendo molto bene mentre Caio Ribeiro Decoussau si è rivelato un'autentica delusione. E ovviamente quale presidente ha puntato su di lui?
Massimo Moratti che dalla metà degli anni 90 fino al 2003 ha buttato soldi in giro per il mondo.
Caio è cresciuto nelle giovanili del San Paolo. Ruolo: attaccante. Nel 1994 debutta nella prima squadra del club paulista e si fa subito notare per le sue grandi doti in fase offensiva. In quell'anno col San Paolo Caio vinse la Superoppa Sudamericana, la Recopa Sudamericana e la Coppa CONMEBOL (l'equivalente della vecchia Coppa Uefa). Sempre nel 1994 il Brasile lo chiama per i Mondiali Under 20 dove diventa il grande protagonista di quella rassegna.
L'Inter, dopo averlo visto all'opera sia nel San Paolo che nella nazionale brasiliana, piomba su Caio e mette sul piatto 5 milioni di dollari. il club paulista accetta l'offerta e i nerazzurri pensano di aver acquistato un futuro campione dal talento cristallino e invece si rivelò una delusione agghiacciante
Con i nerazzurri disputa solo 6 partite e tutte molto deludenti.
Sembra che all'Inter sia sbarcato il gemello scarso del giocatore visto nel San Paolo. Nel 1996 l'Inter lo girà in prestito al Napoli sperando che con il calore dei tifosi napoletani ritorni ad essere quel calciatore che faceva faville in Brasile. Niente da fare... anche a Napoli delude... 20 presenze, 0 gol e prestazioni incolori. Dopo 2 stagioni italiane negative il Bambinello torna in Brasile nel Flamengo. Nel 2003 torna in Europa nella serie B tedesca nel RW Oberhausen e anche lì fallisce ..
Adesso Caio fa il modello e il telecronista per SporTV, emittente televisiva brasiliana, e commentatore per Radio O'Globo. Ha capito che è meglio commentarle le partite che giocarle...
Storia simile a quella di Pato. Esplode giovanissimo, va in Italia però il papero milanista sta facendo molto bene mentre Caio Ribeiro Decoussau si è rivelato un'autentica delusione. E ovviamente quale presidente ha puntato su di lui?
Massimo Moratti che dalla metà degli anni 90 fino al 2003 ha buttato soldi in giro per il mondo.
Caio è cresciuto nelle giovanili del San Paolo. Ruolo: attaccante. Nel 1994 debutta nella prima squadra del club paulista e si fa subito notare per le sue grandi doti in fase offensiva. In quell'anno col San Paolo Caio vinse la Superoppa Sudamericana, la Recopa Sudamericana e la Coppa CONMEBOL (l'equivalente della vecchia Coppa Uefa). Sempre nel 1994 il Brasile lo chiama per i Mondiali Under 20 dove diventa il grande protagonista di quella rassegna.
L'Inter, dopo averlo visto all'opera sia nel San Paolo che nella nazionale brasiliana, piomba su Caio e mette sul piatto 5 milioni di dollari. il club paulista accetta l'offerta e i nerazzurri pensano di aver acquistato un futuro campione dal talento cristallino e invece si rivelò una delusione agghiacciante
Con i nerazzurri disputa solo 6 partite e tutte molto deludenti.
Sembra che all'Inter sia sbarcato il gemello scarso del giocatore visto nel San Paolo. Nel 1996 l'Inter lo girà in prestito al Napoli sperando che con il calore dei tifosi napoletani ritorni ad essere quel calciatore che faceva faville in Brasile. Niente da fare... anche a Napoli delude... 20 presenze, 0 gol e prestazioni incolori. Dopo 2 stagioni italiane negative il Bambinello torna in Brasile nel Flamengo. Nel 2003 torna in Europa nella serie B tedesca nel RW Oberhausen e anche lì fallisce ..
Adesso Caio fa il modello e il telecronista per SporTV, emittente televisiva brasiliana, e commentatore per Radio O'Globo. Ha capito che è meglio commentarle le partite che giocarle...
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Re: I Bidoni del calcio italiano
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Winston Bogarde
Luogo di Nascita:
Rotterdam (Olanda)
Data di Nascita:
22/10/1970
Ruolo:
Difensore
Posizione:
Centrale Destro
Squadra:
Milan
Memori dei fasti dei tempi del trio Rijkaard-Gullit-Van Basten e convinti dalle buone prove dell’Ajax (che nella stagione precedente aveva battuto proprio i rossoneri in finale di Coppa dei Campioni), il dirigente meneghino Adriano Galliani pescò nuovamente in Olanda, credendo di concludere ottimi affari. A Milano arrivò un altro trio di olandesi, ma di tutt’altra pasta: si riveleranno ben presto un tris di “pipponi”. Tra questi c’è Winston Bogarde, massiccio difensore centrale con cui il Milan pensava di rinforzare alla grande la difesa, assieme al terzino Reiziger. Tali buoni propositi non si sono tramutati in realtà, poiché il buon Winston, preso a parametro zero, si dimostrò da subito una sorta di paracarro: un energumeno di un metro e novanta, lento e senza una grande cognizione calcistica. Eppure su di lui erano riposte molte aspettative ben precise, visto il suo generoso curriculum con i “lancieri”: due Scudetti, una Supercoppa d’Olanda, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa europea e una Coppa Intercontinentale. Con la Nazionale olandese, poi, totalizzò 20 presenze dal 1995 al 1998. E invece al Milan ha lasciato il segno solo per il “bellissimo” retropassaggio di Udine, con il quale consegnò la palla sui piedi dell’incredulo centravanti Bierhoff (allora in bianconero), che realizzò così il gol della vittoria per l’Udinese (2-1). Scontata la cessione, che avvenne il prima possibile: il 2 Dicembre 1997 la dirigenza rossonera darà in tutta fretta l’annuncio ufficiale del suo passaggio al Barcellona: a volerlo in blaugrana è il suo vecchio maestro Van Gaal, nel frattempo emigrato in Spagna. Il suo magro bilancio in rossonero si racchiude nelle tre misere presenze in campionato (contro Lazio, Udinese e Lecce) e nella gara in Coppa Italia contro la Sampdoria, l’unica della sua esperienza italiana in cui gioca da titolare. Anche all’estero, nonostante la sua militanza in club di assoluto valore, continuerà a non convincere, tant’è che vivrà da turista (assai strapagato), visto che vedrà il campo in appena 23 occasioni in ben 8 intere stagioni! Nel 2000 passa al Chelsea, per quello che in breve tempo sarà ricordato come “il peggior affare del Chelsea nell’era moderna”. Morale della favola, la musica non cambia: Bogarde, infatti, anche a Londra dimostra di essere l’anello debole della difesa e viene spesso e volentieri relegato in panchina o addirittura in tribuna. In quattro anni di militanza nei blues guadagna l’equivalente di 12 milioni di Euro, giocando appena 11 partite. Il che equivale a circa 1 milione a gara! Anche per questo non era ben visto dai compagni di squadra, soprattutto in seguito ad una sua infelice dichiarazione: «Potrei giocare titolare da qualsiasi altra parte – disse con eccessiva superbia – ma perché dovrei? Qui mi pagano, e bene anche!». Quando arriva Abramovich, che rileva il club di Ken Bates, l’olandese viene relegato ancor di più ai margini della squadra, tanto che il magnate russo decide di non assegnargli neanche il numero di maglia. Alla scadenza del contratto, avvenuto nell’estate del 2004, viene quindi mandato via a calci in c*** da Londra e da allora non riesce più a trovare un ingaggio. Ottiene di allenarsi con l’Ajax – che ad ingaggiarlo non ci pensa neanche lontanamente – finché un bel giorno, l’8 Novembre 2005, dopo oltre un anno di inattività decide saggiamente di annunciare il suo ritiro dall’attività agonistica, all’età di 35 anni. E’ stato un giocatore dalla fortuna sfacciata, visto che è riuscito a militare in grandissime squadre senza fare niente di particolare, che però è vissuto di rendita grazie ai buoni risultati ottenuti ad inizio carriera con l’Ajax. In seguito ha pubblicato la sua biografia, di cui ne riportiamo un passo: «Da giovane ero un delinquente, se non ci fosse stato il calcio avrei fatto una brutta fine. I miei modi di fare erano quelli di un troglodita». Giusto. E così visse anche da calciatore.
To be continued..