Intervista al dottor Mario Brozzi

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crash83
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Intervista al dottor Mario Brozzi

Messaggio da crash83 » 31.03.09 - 23:09

E’ stato il responsabile sanitario del club La società lo ha allontanato il 16 gennaio. Ora dice «Roma, quanto ti ho amata»
«Non mi aspettavo un addio così brusco dopo 25 anni Ho sempre onorato le regole volute da Franco Sensi»


Dottor Brozzi, da dove cominciamo?
«Sedici gennaio 2009».

Dalla fine, dunque, non è il giorno del suo allontanamento dalla Roma?
«Dopo 25 anni di Roma, sedici nelle giovanili, nove in prima squadra. E un contratto firmato sino al 2011».

Era preparato?
«Qualcosa avevo capito, ma mai avrei pensato che si arrivasse a tanto».

Ci racconta come è andata?
«E’ successo tutto in cinque giorni».

Il primo?
«Lunedì 12 gennaio. Avevo un appun­tamento in tribunale. Dovevo testimo­niare nella causa intentata alla Roma dalla psicologa Filippa Costa che per un certo periodo ha lavorato a Trigo­ria ».

Cosa ha testimoniato?
«Conosco solo un modo di testimonia­re: dire la verità che si conosce».

E così ha fatto quel giorno.
«Esattamente. Anche se qualcosa non mi convince. Quella mattina dovevamo testimoniare in tre, io, la dottoressa Mazzoleni, Daniele Pradè. La mia te­stimonianza è stata la stessa della Maz­zoleni. Io, ora, non vado più a Trigo­ria ».

I giorni successivi che cosa è acca­duto?
« Voci. Chiacchiere. Fino al giovedì quando la Mazzoleni mi disse che la mattina successiva ero atteso dalla proprietà».

Dove lei si presentò.
«L’appuntamento era nei nuovi uffici, via Cave di Aurelio, quarto piano, sala piccolina. Ci sono la terzogenita Sensi, Silvia, e la Mazzoleni. Rosella assente, la secondogenita pure. Mi viene conse­gnata una lettera, mi dicono, Mario avrai capito perché sei qui, rispondo no, non lo so perché sono qui. Sono sta­to mandato via in un minuto, venticin­que anni di Roma in un minuto. Silvia prova a dire che negli ultimi tempi mi vedevano distratto, l’ho interrotta su­bito, le ho detto, sono Mario Brozzi, voi sapete bene chi sono, non posso essere un problema. E me ne sono andato».

Cosa vuol dire con sapete bene chi sono?
«Loro sanno benissimo cosa ho fatto per la Roma e la famiglia. Lo sanno an­che tanti altri qui a Roma, come sono stato vicino allo zio Luciano Fioravan­ti, al quale ho voluto un gran bene, co­me lo sono stato al grande presidente Franco Sensi. Gli ho dato tutto, trascu­rando la mia famiglia, mia moglie, le figlie. Mi hanno sbattuto fuori dalla porta, mettendo in dubbio le mie qua­lità professionali, mi hanno fatto del male».

Ma in precedenza non c’era stato nessun episodio che aveva anticipato tutto questo?
« Negli ultimi sei mesi mi avevano vietato di parlare, era un periodo in cui si diceva di tutto sul settore medico della Roma, in pratica mi impedivano di difendermi. Intervenni una mattina a una radio locale. Mi hanno multato di 1.900 euro che mi sono stati detratti dalla successiva busta paga».

Si è parlato molto anche dei suoi dis­sidi con Spalletti.
«Ci sono stati, come c’erano stati con Fabio Capello. Quando si lavora ci può stare che ci siano punti di vista diffe­renti. Basta parlare e saper ascoltare, poi ci si chiarisce. A Luciano voglio be­ne. Voglio essere suo amico in una vita futura, possiamo avere dei punti di di­saccordo perché siamo uguali, intelli­genti e permalosi».

Eppure si parla di una sua grande li­tigata con il tecnico della Roma.
«Definirla litigata è sbagliato ed esa­gerato. L’episodio è riconducibile a un infortunio di Mexes. La partita era di Champions, contro lo Sporting, a Lisbo­na, la Roma è in vantaggio, i portoghe­si pareggiano in un’azione in cui il francese ha un durissimo scontro con Doni. Commozione cerebrale. Se ne parlò molto in quei giorni. Portai Me­xes a fare un particolare esame, l’esito fu, detto in parole povere, che in caso di una seconda commozione cerebrale, il rischio per Mexes di danni gravi era notevole. Forse non mi spiegai bene perché il francese fu convocato per la successiva partita di campionato. E al­lora per fare chiarezza scrissi una let­tera per la proprietà, i direttori, lo staff, assumendomi le mie responsabi-l­ità, insieme a tutti gli altri. Mexes non fu più convocato».

Con il presidente Sensi che rapporto ha avuto?
« Non molto prima di andarsene, mi disse Mario tu sarai il medico della Ro­ma a vita. Sapeva che avevo onorato l’unico obbligo che mi aveva imposto prima di affidarmi la prima squadra,
voglio che la Roma rispetti sempre le regole. L’ho fatto. La Roma è stata una delle pochissime squadre che non ha mai avuto un problema con il doping».

Rosella Sensi l’ha più vista?
« No » .

Il rapporto con Rosella come è stato?
«Per me Rosella è stata come una so­rella, mi chiamava a qualsiasi ora del giorno e della notte, rispondevo sem­pre presente. Ho la sua dedica per i miei 50 anni, Al fratello che non ho mai avuto con stima e affetto. Tutto è stato ucciso da quello che è accaduto. Eppu­re a loro ho dedicato la mia vita».

Si è parlato anche di dissapori tra lei e lo staff tecnico di Spalletti.
«Discussioni, confronti. Se c’è qual­cuno che è andato oltre è uno stretto collaboratore di Spalletti».

Pradè, Bruno Conti le hanno detto niente?
«Pradè ha telefonato a casa mia la se­ra della lettera, quella sera ha parlato solo con mia moglie».

Cosa è successo tra lei e i dirigenti della Roma?
«E’ un episodio legato all’infortunio di un giocatore. Prima delle vacanze di Natale fa un esame, risulta una lesione di 3,4 millimetri. Decido di intervenire con i fattori di crescita. Il 2 gennaio, al­la ripresa degli allenamenti, rifaccia­mo lo stesso esame, la lesione si è ridot­ta a 0,4 millimetri. In tre settimane. Un successo, felici entrambi. Il giorno do­po il giocatore viene nel mio studio a Trigoria, mi dice se può chiudere la porta. Non capisco, ma capisco. Mi spiega che gli hanno detto che deve an­darsi a curarsi a Cesenatico».

A Cesenatico nel centro fisioterapico dove era andato anche Aquilani?
«Quello. Dove però non avevano nep­pure un direttore sanitario».

Anche ad Aquilani fu consigliato di andare a Cesenatico?
«Anche ad Aquilani. Il risultato è sta­to che ha rischiato una squalifica».

Si spieghi meglio.
«Aquilani partì per Cesenatico senza che io sapessi niente. Due giorni dopo, a Trigoria si presentarono i medici del­l’Uefa per un controllo a sorpresa. Un giocatore deve sempre garantire la sua reperibilità. Io non sapevo dove fosse Aquilani. E il giocatore per la mancata reperibilità ha rischiato».

Non sente più nessuno a Trigoria?
«Giorgio Rossi che è una persona ec­cezionale. Silio Musa. Montella. Ho in­contrato Totti e si è emozionato. Ho ri­visto Taddei e ha avuto la stessa reazio­ne del capitano».

Con Totti ha avuto sempre un rap­porto particolare.
« Le racconto un episodio. Risale a qualche anno fa, qualche mese dopo che Franco Baldini se ne era andato dalla Roma. Giorgio Rossi mi viene a dire che Totti e Montella mi volevano vedere nella sala della fisioterapia. Va­do. Siamo noi tre. Mi dicono, Mario qui c’è un po’ di confusione, vogliamo un interlocutore, che ne dici se proponia­mo alla Roma di nominarti direttore generale della società? Sono stupito, ma do la mia disponibilità. Poi non ho saputo più niente».

Ha parlato di fattori di crescita. Per quel trattamento serve l’autorizzazio­ne dell’antidoping.
« Lo abbiamo usato in diverse occa­sioni, con alcuni giocatori, ma solo do­po aver chiesto il permesso alla Procu­ra antidoping. E, pur con qualche diffi­coltà, c’è stato sempre concesso. Ab­biamo aperto una strada, la scienza de­ve essere al servizio dello sport, nei li­miti delle regole».

E’ stato accusato di essere il motivo principale dei tanti infortunati della Roma.
« Ho fatto il mio lavoro al cento per cento della mia professionalità. Lavo­rando può anche capitare qualcosa che non vada come previsto. Al contrario ci sono tantissimi episodi che attestano la professionalità dello staff medico della Roma».

Ce ne dica qualcuno.
«Il recupero di Emerson. Estate del 2000, dopo Ferragosto il brasiliano si rompe il crociato, operato, torna in campo dopo neppure cinque mesi. In­tegro. Nove anni fa, per il recupero da un infortunio del genere, ci volevano due mesi in più. Stessa cosa si può di­re per l’infortunio di Di Francesco. Il recupero di Totti che è andato a vince­re un Mondiale. L’Uefa per gli infortu­ni al ginocchio consiglia il protocollo che usiamo noi. La fasciatura compres­siva che abbiamo brevettato io e Silio Musa, un grande, riduce sensibilmen­te i tempi per il riassorbimento di un ematoma. L’introduzione dei fattori di crescita, per questo a suo tempo, mi chiamò anche il medico della Juventus, dottor Agricola, dopo lo ha usato anche lui per curare Trezeguet. Ho inventato la manifestazione « Insieme per la vi­ta », ieri è andata in scena la quarta edi­zione con centinaia di persone che han­no donato il sangue. Ho creato Roma lab. Se lo è preso la proprietà. E lo ha messo a bilancio con due milioni di uti­li. Anche se...».

Anche se?
«Un medico è un dipendente della so­cietà, un giocatore che non va in cam­po vuole dire tanti soldi buttati al ven­to, bisogna trovare il giusto punto di equilibrio, l’allenatore vuole i giocato­ri a disposizione, i giocatori hanno le loro richieste, la società pure, un medi­co ha dei doveri, bisogna far coincide­re tutte le esigenze».

Cosa vuole dire?
« Faccio un esempio: quando fu ac­quistato Cicinho, alle visite mediche ci accorgemmo dei possibili problemi che avrebbe potuto avere il ginocchio ope­rato, conseguenza di un tecnica d’ope­razione che qui in Italia non è consen­tita. Avvertimmo la società, lo hanno comprato lo stesso».

Il recente infortunio di Cicinho, in­somma, era prevedibile.
«Sì. C’è stato bisogno di tre infortuni al ginocchio per portarlo in sala opera­toria ».

Ci sono stati episodi simili a quello di Cicinho?
« Anche l’estate scorsa. Visite medi­che di un giocatore. Manifestai qual­che perplessità».

Ma come mai nella Roma ci sono sta­ti tutti questi infortuni?
« Continuano a esserci, mi sembra. Come ci sono, più o meno, in tutte le squadre più importanti. La risposta è che il calcio è una fabbrica di malati».

Possibile?
«Scientifico. Primo esempio: le nor­me per la sicurezza sul lavoro per un lavoratore dipendente prevedono cari­chi massimi di 40 chili. I calciatori so­no lavoratori dipendenti, eppure c’è chi fa esercizi da 240 chili. In questi casi il medico è l’ultima ruota del carro».

Secondo esempio.
« Quello chiave: i giocatori di oggi vanno in campo ogni tre giorni, qual­che volta anche meno di 72 ore, che è il tempo necessario perché un corpo umano dopo uno sforzo ripristini gli stessi anticorpi. Si rischia di andare in una situazione che in termini medici si chiama over reaching che è reversibi­le, ma si rischia anche di andare in over training che è irreversibile. E ti puoi fare male con più facilità. Male fi­sico e male da stress. Ricordate i pro­blemi agli occhi di Zago e Taddei? Era­no da stress » .

E tutto questo cosa vuole dire?
« Che i giocatori sono come auto di formula uno che continuano a girare all’infinito perché non ci sono i box. La conseguenza è che nel calcio di oggi c’è un’iperinfortunistica, i dati sono sotto gli occhi di tutti. Il calcio è l’unico sport in cui si lavora per undici mesi l’anno, credo che anche per questo alcune ma­lattie terribili come la Sla, nel calcio abbiano una percentuale assai superio­re alla media normale, altri sport com­presi » .

Cosa si può fare?
«Una banca dati che conservi la sto­ria fisica di ciascun giocatore».

Se oggi ripensa alla Roma cosa le viene in mente?
«Che la Roma ha coronato il mio so­gno di ragazzo, diventare il medico del­la Roma. E poi mille episodi».

Ce ne racconti qualcuno.
«Quando Lima andò a sbattere con la macchina la notte prima della parten­za per una tournée in Messico. Andai di corsa al pronto soccorso per evitare guai peggiori. Oppure quando vidi Ba­tistuta in accappatoio, distrutto, nello spogliatoio, gli chiesi cosa non andasse, mi rispose che se avesse messo la ma­no in un sacco pieno di donne (eufemi­smo ndr), lui avrebbe comunque toc­cato un uomo ( eufemismo ndr), quel giorno credo che capì che non sarebbe più tornato Batigol».

di Pietro Torri, dal Corriere dello Sport del 30 marzo 2009
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso

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