Nel campionato 2008-’09, da neopromosso, il Sassuolo partì alla grande e si ritrovò in testa alla classifica di B poco prima di Natale. Finì settimo. L’anno dopo centrò i playoff, ma uscì in semifinale col Torino nonostante il vantaggio in caso di parità per via del miglior piazzamento. L’anno scorso, poi, la squadra neroverde era stata la prima (ed è rimasta l’unica) terza classificata della stagione regolare a non centrare la promozione in serie A da quando sono stati istituiti i playoff, facendosi sorprendere ancora in semifinale dalla Sampdoria, sesta (e poi promossa). Ma quando quest’anno, il 16 marzo, un rigore di Boakye ha piegato al Braglia il Cittadella dopo il pari nel big-match della sera prima tra Verona e Livorno, nessuno aveva più dubbi. Tredici punti di vantaggio sulla terza a 11 turni dal termine: ormai restava da stabilire solo il giorno in cui la festa sarebbe finalmente potuta esplodere, dopo tanti bocconi amari. Già nel derby col Modena alla quart’ultima? No, perché Ardemagni non è d’accordo: la sua doppietta nell’ultimo quarto d’ora rimanda il verdetto. E allora col Padova alla terz’ultima. Niente da fare, stavolta è Cutolo a rimettere lo Champagne in frigo. E allora facciamo a Lanciano alla penultima e non se ne parli più. Macché, tante occasioni al vento ma alla fine è solo 2-2. E allora… ecco che lo spettro della maledizione torna a stagliarsi nitido all’orizzionte. Perché all’ultima c’è Sassuolo-Livorno e, visto che il pari tra Verona ed Empoli è scritto, un’eventuale sconfitta farebbe precipitare gli emiliani ai playoff. E a quel punto rimettere la squadra in piedi dal punto di vista psicologico in pochi giorni sarebbe pressoché impossibile. Altra infornata di gol divorati (con Boakye a capotavola), altro calo alla distanza, fino ai due colpi di testa ravvicinati di Belingheri che cacciano il cuore in gola ai tifosi neroverdi nell’assedio finale. E fu così che una promozione già archiviata di fatto a marzo divenne realtà solo al 96’ dell’ultima partita, con la fuga spezza-incantesimo di Missiroli a scacciar via in un istante due mesi di ansie e di paure. Serie A, finalmente, per la prima volta nella quasi centenaria storia del club.
Questa lunga cronistoria non è fine a se stessa, ma ha lo scopo di meglio illustrare il fenomeno di cui stiamo parlando. Non di una squadretta che ha imbroccato la classica folata di vento favorevole regalandosi un giro di valzer al grande ballo per poi tornare soddisfatta al suo posto, ma di un club che questa serie A se l’è dovuta sudare troppo per considerarla solo una gita premio. I paragoni col Chievo del 2001 trovano nella parabola del Sassuolo terreno fertile. Anche i veneti, infatti, dopo la scalata dalle categorie inferiori, si erano assestati per diversi anni in B prima di spiccare il grande salto. Anche loro arrivarono al massimo proscenio sull’onda di un gioco frizzante e sbarazzino, con un tecnico emergente alla guida, benché già più anziano di Di Francesco (Delneri). Anche loro rappresentavano, e rappresentano, una realtà dal seguito limitato (Sassuolo, del resto, sarà la città più piccola ad aver mai visto la serie A, con i suoi 40 mila abitanti). Ma, soprattutto, anche loro non avevano alle spalle esattamente un parvenue qualsiasi, bensì un’azienda solida come la Paluani, laddove a Sassuolo tutto questo è stato possibile grazie ai denari di Giorgio Squinzi, patron della Mapei e presidente della Confindustria, se vi par poco. Uno che, come primo atto per celebrare la promozione, non ha pensato di comprare un giocatore ma… uno stadio, il “Città del Tricolore” (ex Giglio) di Reggio Emilia. Tanto per far capire che aria tira.
Il progetto, insomma, è di quelli veri. Come dimostra anche la conferma di Eusebio Di Francesco, subito blindato con un biennale quando, in caso di tentennamenti, dopo una stagione simile, una panchina in A non avrebbe certo dovuto fare a botte per trovarla (e magari nemmeno di secondo piano, se pensiamo ad esempio a come sta brancolando la “sua” Roma in questi giorni). Ma il primo a non tentennare è stato proprio lui, annunciando urbi et orbi la sua volontà di rimanere, tra uno schizzo e l’altro, il giorno stesso della grande festa. Decisione saggia. Perché Di Francesco sa benissimo che chi arriva dalla serie B con un impianto di gioco collaudato e l’entusiasmo in poppa è già un bel passo avanti rispetto a chi dovrà lottare per gli stessi obiettivi esponendo il cartello “lavori in corso” per una consistente fetta di stagione, prima di trovare la quadra. Un altro anno sulla panchina neroverde non potrà che giovare alla sua giovane carriera, lavando la precoce macchia di un esonero forse affrettato ma comunque doloroso, a Lecce due anni fa. Non dimentichiamo che fu lui il primo a valorizzare Cuadrado e Muriel, per fare due nomi, e a Cosmi bastò stringere due viti in difesa per sfiorare una clamorosa salvezza sfruttando anche il lavoro del predecessore sui movimenti offensivi.
Sì, perché quello di Di Francesco è un calcio d’attacco, improntato su un 4-3-3 che non può non essere stato influenzato anche dai due anni vissuti sotto la guida di Zeman, dal ’97 al ’99, forse i migliori della sua carriera da giocatore (quello Zeman che, per inciso, l’anno scorso condusse in A un Pescara forgiato nelle due stagioni precedenti proprio dall’allievo: altro particolare da non sottovalutare). Ma… la difesa? A Lecce non funzionò, anche se va detto innanzitutto che perché una difesa funzioni occorrono dei difensori, e quella squadra non ne aveva di proponibili per la massima serie, e poi che rilevare una panchina ex novo in serie A e arrivarci seduti sulla propria dalla B son due cose molto diverse. In ogni caso, quest’anno, a fronte del miglior bottino di gol segnati (78, uno in più del Livorno), il Sassuolo ne ha incassati 40, non tantissimi se si pensa che solo Verona e Ternana sono riuscite a far meglio in categoria. Il sospetto che ciò sia dipeso più dall’organizzazione collettiva che dalle qualità individuali degli interpreti è forte, ma poco cambia nella sostanza, anche in ottica fantacalcistica. Moro, D’Angelo, D’Anna e Lanna erano forse dei grandi difensori? No, eppure nel summenzionato Chievo dei miracoli fecero ampiamente la loro parte. E allora non ci stupiremmo se i vari Gazzola, Bianco, Terranova e Longhi, qualora dovessero tutti sposare ancora la causa neroverde, riuscissero ad andare oltre i loro limiti anche al piano di sopra, sfornando prestazioni soddisfacenti per il nostro gioco. Quest’anno, per dire, hanno chiuso tutti e quattro oltre la sufficienza per media voto. E, fidatevi, non si tratta di una circostanza così usuale per un intero pacchetto difensivo in seconda serie, anche per le squadre vincenti. Il 35enne Bianco, in scadenza, potrebbe cedere il posto ad Acerbi. Gli altri, però, potrebbero rimanere. E soprattutto Terranova ha un bell’asso di briscola da giocare al tavolo delle nostre aste: è il rigorista indiscusso della squadra, a segno 8 volte su 10 tentativi dal dischetto in questa stagione (più altri 3 gol su azione). Se resisterà alla corte del Cagliari…
I quattro (e le loro occasionali riserve: principalmente Laverone a destra e Marzorati al centro) sono stati protetti alle spalle da un Pomini che, a 32 anni, sembra aver raggiunto la piena maturità, come dimostra il secondo posto assoluto di squadra per media voto, alle spalle del solo Missiroli, tra i giocatori con un congruo numero di presenze. Non aspettatevi di vederlo volare da un palo all’altro, ma gli errori ormai si contano sulle dita di una mano. Quest’anno, in 41 partite, solo una volta è riuscito a prendere un voto superiore a 7 (un 7,5, grazie al rigore parato a Gomez del Verona alla 34ª), ma le sue insufficienze sono state appena 2 in tutto il campionato (due 5,5, peraltro). Il vero punto di forza di questo Sassuolo, però, è stato il centrocampo, orchestrato impeccabilmente da capitan Magnanelli (classico centrocampista dal 6,5 garantito in un complesso organizzato a dovere) e impreziosito dalle rifiniture e dagli inserimenti di un Missiroli alla miglior stagione in carriera (con alcuni proficui camei nel tridente offensivo). Come intermedio di destra ha invece agito (bene) soprattutto Tommaso Bianchi, lasciando spazio al settepolmoni Chibsah (ventenne ghanese in prestito dal Parma) nel finale di stagione. Ha collezionato soprattutto subentri, invece, Troiano (ben 20 su 30 presenze totali), l’unico negativo per media voto nel reparto.
E il bomber? Quale bomber? Non lo sapete che non vanno più di moda, ormai? Nel calcio di oggi vince soprattutto chi riesce a distribuire i compiti realizzativi, anziché affidarsi a uno stoccatore designato. E il Sassuolo non ha fatto eccezione, come dimostra la classifica marcatori interna, capeggiata da 4 giocatori a pari merito con appena 11 gol all’attivo. Uno è il già citato rigorista Terranova, gli altri 3 sono attaccanti, ma uno solo (Pavoletti) con le caratteristiche del classico centravanti d’area. Boakye, ammirato al Birra Moretti la scorsa estate con la maglia della Juve (società detentrice del suo cartellino in comproprietà col Genoa), si è alternato con lo stesso Pavoletti nello spot di punta centrale offrendo maggiore dinamismo e rapidità ma sviluppando anche a lungo andare una sinistra tendenza a mancare gol fatti. L’ultimo dei quattro è anche il giocatore più talentuoso della squadra. Domenico Berardi, 18 anni da Cariati Marina (provincia di Cosenza), segni particolari: predestinato. Oddio, a dirla tutta, non più tardi di 4 anni or sono (quando ne aveva già 14, non proprio ai tempi del biberon), in tanti modi lo si sarebbe potuto definire, tranne che predestinato. A meno che non vogliate chiamare così un ragazzo che, dopo essere rimasto fino a quell’età in un anonimo club delle sue parti, un bel giorno va a trovare il fratello a Parma, gioca una partita di calcetto con gli amici di lui e scatena un passaparola tale da guadagnarsi un provino immediato per il Sassuolo. E da lì decolla verso la gloria, senza capire né come né perché. Fantasista mancino dotato di un buon fisico, che ama partire soprattutto da destra o agire alle spalle delle punte, Berardi in una sola stagione tra i grandi ha già rubato gli occhi a tutte le big di casa nostra e non solo. La Juve è in pole, ma Squinzi, per ora, tiene duro. Per le sue prospettive fantacalcistiche, speriamo che non molli.
Gli altri interpreti più utilizzati, in un attacco assoggettato a un ampio turnover nell’arco della stagione (nessuno ha giocato più di 26 partite da titolare), sono stati l’esterno sinistro Catellani (prestito dal Catania) e l’ala destra Troianiello, che hanno fatturato 10 gol in due, ma in una squadra andata a segno con 15 giocatori diversi in stagione.
www.fantacalcio.kataweb.it