Prandelli a tutto tondo

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Prandelli a tutto tondo

Messaggio da Dainelli » 23.08.08 - 21:18

Intervista all' allenatore viola del Corriere Fiorentino


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Cesare Prandelli non ti basta mai. Ed ogni sua risposta ti fa venire voglia di un'altra domanda. Sono così rari i personaggi del calcio con cui parlare anche d'altro, a cui ti senti di dover chiedere altro, che una volta che ce li hai davanti, vorresti fermare l'orologio e ti piacerebbe che in una stanza quattro metri per quattro nella pancia dello stadio potessero entrare tutti i 40 mila che il Franchi può ospitare. Perché hai l'impressione nitida che ascoltare persone come Prandelli possa aiutare, inviti a riflettere, faccia sentir meglio: perché sanno far uscire parole serene, sagge, sincere. O, semplicemente, di buon senso. E quindi rarissime. Che il senso comune è diventato il meno comune dei sensi. E se, come canta Lucio Dalla, «la cosa eccezionale dammi retta è essere normale», allora Prandelli eccezionale lo è davvero. E con la sua piacevole normalità risponde senza mai nascondersi, a volte sorridendo, altre tornando serio, passando da un aneddoto a un'analisi, da un ricordo privato a un sogno per il futuro, seguendo sempre un percorso fatto di valori, equilibrio, umanità.
E così quando riguardi l'orologio e ti ritrovi a «stringere » e per dovere professionale torni a far rotolare domande solo sul pallone (anche se certe dichiarazioni sono musica per i tifosi...), ti sembra quasi uno spreco. Ma il tempo è tiranno, come le righe di queste pagine che non possono bastare a dire tutto. E nessuno lo sa quanto Cesare, che ha provato a un certo punto a dilatarlo il tempo, tentando disperatamente e inutilmente di fermare settimane che diventavano giorni, che si riducevano ad ore, che si asciugavano in minuti fino a sparire in istanti. Per lasciare solo il ricordo. Però se siamo davanti a lui con un taccuino in mano è perché guida una squadra diventata modello di comportamenti, in campo e fuori: la Fiorentina più bella, attrezzata, rispettata e affascinante dell'era Della Valle. E allora il nostro racconto non può che partire da qui.
Prandelli, che macchina è la Fiorentina?
«È una macchina che ha molti cavalli. Ora però bisogna metterla a punto e lanciarla in pista: ci sono tanti giocatori nuovi. Stiamo cercando velocemente quegli equilibri che ci hanno permesso in questi tre anni di produrre un buon calcio. Sono cambiati gli interpreti: abbiamo aumentato la qualità e la personalità, quindi è normale che si pretenda dalla squadra qualcosa in più».
La società ha speso tantissimo: contento della campagna acquisti?
«Sì, molto. La società ha speso tanto e ha speso bene acquistando giocatori giovani, di prospettiva, che seguivamo e volevamo fortemente. Ma ora dovremo metterli assieme: ci sono mentalità e culture diverse, non è così semplice. Però partiamo da una base solida, i "vecchi" hanno dato subito input importanti e i nuovi si stanno inserendo bene».
Manca ancora qualcosa? O qualcuno?
«No, ora non cerchiamo il pelo nell'uovo. Accontentiamoci, siamo soddisfatti».
Fino ad oggi si è sempre detto «Prandelli ha fatto il miracolo», ora si dice «deve sfruttare al massimo la rosa ampia». Una responsabilità nuova…
«Mi aspetta un'annata affascinante. Per la prima volta ho a disposizione davvero una rosa competitiva. Avere due giocatori per ruolo è fondamentale se vogliamo andare avanti in tutte e tre le competizioni. Non ci saranno giocatori scontenti: chi non giocherà la domenica lo farà magari il mercoledì. Dovremo essere intelligenti, il mio scopo è di coinvolgere tutti».
Lo scorso anno la contemporanea assenza di Montolivo, Mutu e Gamberini, avrebbe scavato fosse di depressione. Oggi i tifosi non si spaventano.
«Un bel passo in avanti. L'idea era proprio questa: mettere in competizione giocatori importanti, affinché anche i "big" fossero stimolati da un compagno che cerca di rubargli il posto. Ogni settimana ci sarà l'imbarazzo della scelta. Sono situazioni che ogni allenatore vorrebbe vivere».
Non metta le mani avanti, la Champions è a un passo.
«E invece io sono molto più preoccupato per la partita di ritorno con lo Slavia che per quella con la Juve. Tutti danno per scontato il passaggio del turno. Non è così, e se andiamo a Praga con quest'idea rischiamo una brutta sorpresa. Ricordiamoci l'Everton: in casa facemmo un'ottima partita, poi al ritorno soffrimmo le pene dell'inferno...».
Dopo lo Slavia arriva la Juventus: quanto è importante battere una diretta avversaria e far crescere subito nel gruppo la convinzione dei propri mezzi?
«Moltissimo. Se passiamo bene il preliminare sono convinto che faremo una grande partita contro la Juve, anche se si sono rinforzati e hanno una squadra solida. Questa è la partita dei tifosi, la partita dell'anno. Non vogliamo deluderli».
Il gap con le quattro grandi è stato colmato?
«L'ho già detto: Inter, Roma, Milan e Juve lotteranno per lo scudetto. Noi siamo a ridosso.
L'importante però era dare un segnale importante a tutti. E la società l'ha dato».
C'è qualcosa che invidia alle altre grandi?
«Posso invidiare solo l'esperienza dei club e dei giocatori a certi livelli, la personalità di chi ha già giocato tantissime partite sotto pressione. Noi siamo convinti di fare più che bene, ma avere una struttura e un ambiente preparato a certe competizioni è un vantaggio».
Teme la famosa difficoltà psicofisica a sostenere il doppio impegno Champions-campionato?
«Sì. Basta vedere gli almanacchi: se le nostre squadre da anni non centrano la doppietta (l'ultima fu il Milan di Capello nel 1994, ndr), un motivo ci sarà. Tutti gli allenatori che hanno avuto esperienze in Champions dicono che brucia davvero tante energie».
Un'altra abitudine «da grande» che forse ancora manca è vincere qualche scontro diretto in più: lo scorso anno il colpaccio riuscì solo con la Juve…
«Su questo sono meno d'accordo. Per quanto riguarda l'atteggiamento contro le grandi siamo migliorati molto e in questi tre anni abbiamo fatto ottime prestazioni. Se poi arriva la vittoria è chiaro che cresce l'autostima. Ma noi, posso prometterlo, andremo su tutti i campi in casa e fuori con la voglia di fare la partita e di vincerla. Su questo non ho il minimo dubbio».
Donadel ha detto: «Va bene il fair play ma chi viene qui deve aver paura. Fuori i muscoli ».
«Non è un problema di muscoli ma di mentalità, di attenzione, di saper essere una squadra equilibrata nelle due fasi di gioco (attacco e difesa, possesso e non possesso palla). Essere aggressivi non vuole dire avere muscoli, ma possedere i tempi di gioco, del pressing, dei tackles. Ho visto vincere contrasti da giocatori di 60 chili contro bestioni di 90. Tempi giusti e voglia della palla: quello fa la differenza, non i muscoli».
È innegabile però che le squadre che hanno vinto gli scudetti negli ultimi anni avevano anche giocatori prestanti che facevano sentire i loro chili e i loro centimetri sulla partita.
«Non lo nego. E da questo punto di vista non siamo messi male. Le squadre che hanno vinto hanno sempre miscelato il fisico con la tecnica, la tattica, la resistenza. Chili e centimetri sono importanti soprattutto sulle palle inattive. Lo scorso anno le abbiamo sfruttate poco. Avendo alzato un po' la struttura della squadra, spero quest'anno vada meglio».
E Gilardino dovrebbe dare una bella mano. Sembra già tornato ai bei tempi: quale pozione ha usato?
«Nessuna. Quando un giocatore è in una grande squadra come il Milan e la lascia rinunciando al grande palcoscenico, all'immagine e soprattutto a un contratto importante, pur di rimettersi in discussione, quel giocatore di fatto è già recuperato. Alberto non poteva aver disimparato a giocare. Era solo un problema di motivazioni e voglia. La sua scelta, era già figlia della certezza di tornare quel giocatore sorridente, felice, entusiasta del proprio lavoro che avevo apprezzato a Parma. Io non ho dovuto davvero far nulla».
Cosa si prova ad essere considerato dai tifosi un garante non solo della squadra ma di un progetto e dei sogni di una città intera?
«Li ringrazio e starò ancora più attento ai miei comportamenti. È un'ulteriore responsabilità, ma non mi spaventa: continuerò a seguire semplicemente il mio buon senso. A volte ci vuole solo quello, non c'è bisogno di alchimie particolari».
A proposito di tifosi: 25.000 abbonamenti, «appena» 2.000 in più rispetto all'anno scorso. È la dimostrazione che diversi diritti tv e un nuovo stadio sono fondamentali per il futuro?
«Sì. I tifosi con la loro passione sono il nostro motore e sanno darci una spinta che nessun campione saprebbe regalarci. Ma i bilanci di un club sono un altro discorso. La società lo sa e sta valutando nuove alternative, come lo stadio».
Per costruirlo ci vorranno almeno 5 anni: Prandelli sarà ancora in viola quel giorno?
«Spero di sì. Voglio rimanere perché sono convinto che questa squadra sarà vincente nel tempo. Ed io voglio vincere con la Fiorentina».
Nel frattempo magari ci si può dotare di un centro sportivo.
«Preferirei non parlarne. Ci sono state tante polemiche negli ultimi anni. Sul problema dei "campini" mi tirano sempre in ballo, come se fosse un mio capriccio. Io penso che una società seria e importante come questa dovrebbe avere la propria casa, dove poter lavorare 24 ore su 24, ospitare le persone che vuole. E invece questa casa non l'abbiamo».
A cena per festeggiare un successo: pasteggia con «Il 10 di Adrian Mutu» o con il «Violone » di Della Valle?
«Li ho assaggiati e sono buoni entrambi. Ma mi salvo in corner: faccio scegliere mio cognato, è lui il sommelier della compagnia…».
È vero che ha messo sul piatto il suo futuro a Firenze per convincere Della Valle a tenere Mutu?
«Guardi è stata data fin troppa importanza alla mia posizione. La società conosceva il mio pensiero e non ho dovuto minacciare nessuno. Il club è stato bravo e deciso a far rispettare il contratto, rifiutando un'offerta importante».
Ha compiuto da poco 51 anni: il regalo più bello che ha ricevuto?
«La presenza dei miei ragazzi accanto a me, mia figlia era in vacanza e ha fatto di tutto per tornare e starmi vicino».
È stato il primo compleanno senza Manuela.
«Da quando non c'è più, ci sono state tante prime volte… È stata una di quelle».
È stata anche la prima estate…
«Finché c'è stato il campionato, ammortizzavo lavorando, restando di più sul campo. Poi si sono aperte giornate improvvisamente troppo lunghe… Prima facevamo vacanze stanziali con quella che io definisco la mia tribù, 15-20 persone. Stavolta sono stato un po' zingaro, non sono riuscito a trovare il posto dove stare in pace. È stata un'estate frenetica, con pochi riferimenti».
Sua moglie è stata una fonte inesauribile d'amore: quello che le ha dato, ma anche quello che, a causa del vostro dramma, le hanno riversato tifosi e gente comune.
«L'amore della gente è stato spontaneo e straordinario. Sono geloso di questo amore. La perdita è stata devastante, ma auguro a tutti di sentire intorno a sé tanto affetto. Credo le persone abbiano visto in me e nella mia famiglia una realtà "normale", persone, e non personaggi, che vivevano un grande dolore come tante altre».
Prandelli è oggi forse l'allenatore più stimato in Italia.
«Ammetto che fa piacere trovare tanti tifosi di altre squadre che mi fanno i complimenti».
Quelli dell'Inter la volevano in panchina. Poi è arrivato Mourinho. Che pensa di lui?
«Penso sia un innovatore. Siamo tutti curiosi di vederlo all'opera. Porterà delle novità dal punto di vista tattico, dell'immagine, del comportamento, della gestione.
Io non ho paura degli innovatori, piuttosto mi spaventato quelli che non vogliono aprirsi: ben venga Mourinho e chiunque possa aiutarci a crescere».
In cosa deve migliorare ancora Prandelli?
«In tante cose. Non mi sono mai posto obiettivi precisi a livello personale, ma ho sempre detto a me stesso e ai miei collaboratori che dobbiamo essere inattaccabili dal punto di vista professionale. Dobbiamo arrivare prima degli altri, impegnarci, prepararci e studiare più degli altri. Perché la voglia di vincere è tanta, e a me piacerebbe davvero cominciare a vincere qualcosa».
Lo disegnamo un tecnico ideale?
«È una domanda che ricorre spesso quando facciamo le riunioni con gli altri allenatori. Io dico che ognuno di noi deve portare avanti le proprie convinzioni e idee. Io posso essere ammirato, ammaliato, incuriosito dalla scelta di un altro allenatore ma non posso mettere un abito che non è mio. Devo vestire i miei panni con le mie qualità e miei difetti. Per essere credibile sempre, nel bene e nel male. Anche nei momenti di debolezza».
Non fa parte del «club degli infallibili».
«Ci mancherebbe. Io non nascondo le mie debolezze: nessuno è perfetto o sempre sicuro di tutto. Ci sono momenti di difficoltà e si possono tranquillamente ammettere anche davanti ai giocatori, perché no? Aprirsi alla lunga paga. Se capiscono che sei sincero, anche loro automaticamente si aprono, perché ti vedono come una persona, non uno che si crede un semidio. L'importante è che non manchi mai il rispetto».
E allora chi meglio di lei può dirci un pregio e un difetto di Prandelli?
«Un pregio è la ricerca sempre di qualcosa che possa appagare, calcisticamente di un gioco propositivo che diverta i tifosi. Il difetto è che sono un po' troppo cocciuto e ostinato in questa ricerca. E a volte un po' troppo permaloso..».
Un pregio e un difetto di Corvino e dei Della Valle?
«Abbiamo rapporti professionali stretti, ma non li conosco così bene nell'intimità da giudicarli. Posso dire che sono persone per bene: ed è già molto importante. Non sono arroganti e ti danno la possibilità di confrontarti ».
C'è un rimpianto nella sua carriera?
«Mi spiace non aver cominciato l'esperienza a Roma, ma non ho rimpianti. Rifarei mille volte quella scelta».
Però è rimasto grato alla società, andando anche al funerale di Sensi.
«Non ci ho pensato un secondo: ho cambiato gli orari di lavoro pur di essere presente. La famiglia Sensi in quel mese a Roma fu straordinaria con me. E anche dopo. Sono uno che non dimentica».
Rush finale. Il giocatore che l'ha stupita di più in queste settimane?
«Jovetic. Non ha solo tecnica ma anche grande capacità organica».
Quello con più margini di miglioramento?
«I giovani, ma non solo. Pensate a Jorgensen, con disponibilità e convinzione ha coperto tanti ruoli. Si può e si deve migliorare sempre»
Quello che può essere la sorpresa della stagione?
«Tutta la Fiorentina».
Quello che fa gruppo?
«Ce ne sono diversi, ma Kuz è proprio simpatico, piacevole, tutti gli vogliono bene, ha una grande capacità aggregante».
Ha scelto il capitano?
«Il capitano è Dainelli. Quando non giocherà lui farò delle scelte».
Che cosa la sua Fiorentina non farà mai?
«Spero non abbia mai comportamenti antisportivi».
Sempre convinto che ci vorrebbe un anno di silenzio sulle decisioni arbitrali?
«Sì, sempre di più. Daremmo loro la possibilità di lavorare senza pressioni. Spero che gli arbitri si facciano rispettare di più, da tutti. Senza eccezioni. La prima regola è il rispetto, la seconda è il buon senso. Se i segnali sono forti, i giocatori imparano a comportarsi in fretta».
Sta vedendo le Olimpiadi?
«Sì, i record di Bolt mi hanno emozionato. Ma è bello gustarsi tutte le gare: ci sono sport che trovano la luce ogni quattro anni e invece meriterebbero più spazio, perché praticati da professionisti straordinari. Non avendo grandi ritorni economici, il loro è il vero spirito sportivo: superare i propri limiti, realizzare col sacrificio nuove imprese».
Chiuda gli occhi… Se la immagina una festa scudetto a Firenze?
«Meglio viverla che immaginarla. È il sogno di tutti, anche il mio. E punto a realizzarlo».


Andrea Di Caro
Il Corriere Fiorentino

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