ecco una bellissima intervista rilasciata ieri al corriere dello sport :
Vargas: ''Il bello deve ancora arrivare''
Vargas, come sta?
Bene. Ho qualche problemino al ginocchio, ma sto lavorando, mi curo, e voglio giocare. Farò di tutto.
Certo che in questa posizione, da esterno alto, lei fa veramente male agli avversari. Come si trova?
Io gioco laddove ha bisogno il mio allenatore. E’ comunque la posizione con la quale ho iniziato a giocare a Lima, poi in Nazionale mi hanno trasformato in terzino, mentre a Catania sia Baldini che Zenga, seppur in modi diversi, mi hanno riportato più avanti.
Questo forse è il suo momento più bello.
Il momento più bello deve ancora arrivare, questo è sicuramente il momento più sereno, più tranquillo e mi permette di finire bene il campionato con la Fiorentina in Champions e di andare a casa per le vacanze per poi partire l’anno prossimo nella maniera giusta.
Torniamo un attimo indietro. Siamo a Monaco di Baviera, il momento più brutto per lei: cosa successe?
Quella era una partita importante, io ho commesso degli errori e sono stato anche sfortunato. Resta il fatto che non andai bene, ma proprio lì ho capito che dagli errori si impara: più errori fai, più impari.
Lei venne messe sul banco degli imputati da stampa e tifosi…
Io ero abituato anche troppo bene, tutti parlavano bene di me, ricevevo solo elogi. Invece qui mi sono piovute addosso mille critiche. Però le ho sapute accettare, con umiltà e con la consapevolezza che mi sarebbero servite per crescere ancora.
Con quei 12 milioni di euro pagati per il suo cartellino non era facile evitare di affondare. Era come nuotare avendo un’incudine legata al collo…
E’ la sacrosanta verità, ma io mai ho pensato a quanto peso avesse quella cifra, pensavo solo che le cose non andavano bene e ripetevo alla mia famiglia che tutto gira nella vita, che il lavoro e il tempo mettono poi tutto al posto giusto.
Quali sono stati i segreti della sua rinascita?
Famiglia, compagni, allenatore, staff. Non mi hanno mai mollato. Neppure per un minuto. Proprio in quei giorni ho sentito l’affetto e il calore di chi mi stava vicino nello spogliatoio. Io con la mia famiglia lontana, con la rabbia di non riuscire a rendere per quello che sapevo di valere, ho avuto tutti accanto.
Lei parla sempre della sua famiglia: è davvero così importante?
Voi forse non sapete cosa vuol dire stare lontano, in una casa dove parli e nessuno ti risponde, in un Paese straniero, domandandosi in continuazione: cosa faranno i miei cari? E’ dura. Durissima. C’è chi non ce le fa, io non ho mollato.
Torniamo ancora più indietro: ci racconti chi è Vargas.
Sono cresciuto per le strade di Lima. Mio padre si era separato da mia madre, mi hanno cresciuto mamma e i miei nonni, ho due fratelli più piccoli. Giocavo davvero per le strade, la svolta è arrivato quando l’Universitario, una delle squadre più famose del Perù, mi ha inserito nel settore giovanile e poi in prima squadra. Da lì sono andato in Argentina a giocare nelle file del Colon. Prima però c’è stato un passaggio fondamentale della mia vita. Ho conosciuto Blanca, lei aveva 24 anni, io 18. Era una donna ed è venuta in Argentina per restare con me. E’ la mia compagna e ora, grazie a Dio, abbiamo avuto la gioia di una bimba, Luana Mia. La luce della nostra vita.
Che differenze ci sono fra lei e quel bambino che giocava nelle strade?
Nessuna. Sono sempre la stessa persona che non dimentica i vecchi amici.
Chi era il suo mito calcistico?
El Puma Carranza, l’idolo di tutti noi dell’Universitario. Per me solo giocare nella sua squadra era un sogno.
Poi dall’Argentina chi è che l’ha portata via?
Pietro Lo Monaco. Sono arrivato in Italia, a Catania, e lì è iniziata un’altra vita.
Com’è che a Catania si è trovato subito bene?
In ogni lavoro uno per rendere al meglio ha bisogno di affetto e considerazione: a Catania ho trovato tutto questo e tre allenatori come Marino, Baldini e Zenga, tre brave persone che mi hanno voluto bene. L’unico problema è che ho imparato a dire sempre… minchia.
Già che ci siamo, ci racconta tutti questi tatuaggi?
Ne ho nove, il primo raffigura Gesù, con la scritta “proteggi me e la mia famiglia”. Io sono credente, cattolico. Uno è il nome di mia figlia, uno per mia moglie, uno per ciascuno dei miei tre fratelli, uno per mia mamma, uno per mio nonno, uno per mia nonna, uno è lo scudo entro il quale è impressa la mia data di nascita in numeri romani.
Torniamo al calcio. Da Catania a Firenze.
Il salto è stato enorme. Grande piazza, grande squadra, pressioni che non conoscevo prima. Tifosi e media che vogliono sempre di più.
Lasciamo dietro Monaco e arriviamo a sabato scorso, al gol segnato con la Rom.
L’ho dedicato a mia moglie che festeggiava il compleanno, ho pensato a lei che aveva vissuto con me momenti difficili anche per la morte di suo padre. Il primo gol realizzato in maglia viola, quello col Cagliari, invece lo avevo dedicato a Dio. E vi avevo detto che se mi sbloccavo ne sarebbero arrivati anche altri.
Quanto è forte la Fiorentina?
Molto forte. Siamo quarti e vogliamo andare in Champions League, ma dobbiamo fare i conti con avversari altrettanto bravi. Non sarà facile. Però noi non molliamo.
Chi è più forte della Fiorentina?
Dico l’Inter e oggi forse anche il Milan, ma la Fiorentina che conosco io non è da meno. Dobbiamo solo crederci di più per poter raggiungere il loro livello.
Qual è il compagno di squadra con cui si trova meglio?
Farei l’elenco di tutti, anche se è ovvio che ci sia più affinità tra noi sudamericani, anche per un discorso di lingua. Ma tutti davvero sono amici veri.
Lo sa che per molte sue tifose lei è una sorta di sex-symbol?
Io (ride) comunque ho due donne (Blanca e la piccola Luana Mia) che mi controllano.
Sogniamo insieme…
Allora insieme a Firenze sogno lo scudetto, sogno una semifinale Champions, sogno una finale Uefa. Va bene?
Va benissimo, ma cosa vorrebbe regalare a Firenze?
Io voglio regalare gioia, a tutti. Voglio che la gioia inondi tutta Firenze. La stessa gioia che proviamo io e Blanca quando guardiamo Luana Mia
