Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
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Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
08 Ottobre 2013
Lotito e il guru Affan...
di Paolo Scafati
Ci risiamo. Sono bastati un paio di buoni risultati e come d’incanto Lotito è rispuntato fuori, come i funghi che puntualmente sbucano in ogni dove con l’arrivo delle prime piogge che segnano la fine dell’estate e annunciano l’autunno. Lo ha fatto con la solita intervista senza contraddittorio, con l’ennesimo show in cui il giornalista o il comunicatore di turno non fa mai domande scomode o di quella elementare spontaneità dettata dalla logica di chi non può fare a meno di replicare davanti ad affermazioni assurde o autocelebrazioni in cui a volte si stravolge anche la realtà, fatti che sono sotto gli occhi di tutti. Insomma, mai un botta e risposta.
“La Lazio è mia e la gestisco io”, ha detto nel suo ultimo show nella sede de “Il Messaggero”, con uno slogan che ricorda quello degli anni 70 del movimento femminista in cui le donne rivendicavano la loro legittimità nel gestire il proprio corpo, soprattutto gli organi sessuali. Il paragone non è proprio dei più appropriati, ma il significato è lo stesso: non devono esserci ingerenze esterne nella gestione di ciò che si considera proprio.
E così, come ciclicamente accade, l’azionista di maggioranza viene con questa sua a dirci che non c’è trippa per gatti, che la Lazio è solo e soltanto sua, che l’ha pagata più di quanto valeva e che la risollevata portandola ai vertici e, dulcis in fundo, non la venderà…mai!
Di solito queste esternazioni le fa quando sente puzza di bruciato, quando ha paura che qualcuno voglia rubargli il giocattolo e, allora, speriamo che qualche male intenzionato ci sia veramente all’orizzonte!
Partendo dal presupposto che sulla cifra che (dice lui… ) ha pagato la Lazio nel 2004 rispetto al valore reale ci sarebbe da discutere a lungo (e comunicazione ufficiali alla mano sarebbe facile smentirlo), nessuno gli disconosce di avere operato inizialmente da buon ragioniere, riequilibrando una situazione debitoria resa tale soprattutto dalla gestione bancaria post Cragnotti, e che ha ottenuto anche grazie alle sue capacità, oltre che alla gente laziale scesa in piazza al suo richiamo alle armi, una dilazione del debito con l’Agenzia delle Entrate.
Con gli elogi, però, ci fermiamo qui, perché dopo sono seguiti solo comportamenti presuntuosi, offensivi, ipocriti e forse anche qualcosa di più. Perché ha subito accentrato tutti i poteri e le cariche su di lui, non ha trovato un direttore sportivo fino a Dicembre 2004, per poi defenestrarlo a Giugno così come con i successivi, fino a trovare in Tare il giusto consigliere di corte.
Perché in nome di un finto “risparmio” ha cacciato laziali che della società di cui lui si sente proprietario avevano fatto la storia: da Lovati a Patarca, passando per Pulici, tutta gente che avrebbe continuato a lavorare a Formello forse anche senza stipendio, perché loro la Lazio ce l’hanno dentro, non sul conto in banca.
Ha preso la scena con i suoi siparietti radio-televisivi, diventando in breve tempo una macchietta, una caricatura. E purtroppo lo ha fatto legando il suo nome sempre alla Lazio, ridicolizzando una tifoseria che ha sempre fatto dello stile la sua caratteristica pecuniaria in una città come Roma dove puponi e coatti hanno sempre fatto il bello e il cattivo tempo.
Mitiche le sue partecipazioni né “I Cesaroni” vicino ad Amendola o né ”L’allenatore nel pallone 2” in cui duetta con Banfi, guarda caso due tifosi della Roma dichiarati. Interminabili i suoi escursus storici e filosofici per parlare di “calcio”, indimenticabili le sue frasi latine, esilaranti le scuse addotte per il puntuale mancato arrivo di rinforzi per la squadra alla fine di ogni sessione di mercato. Noi laziali, secondo lui, dobbiamo capire che “la società è sua e la gestisce come meglio crede”, quindi dobbiamo soltanto fare gli abbonamenti, pagare Sky e Mediaset Premium, comprare magliette e tute e ringraziarlo in eterno.
La realtà, invece, è che visto che la Lazio è sua, allora andrebbe lasciato proprio solo, senza abbonamenti allo stadio o alle Pay tv e senza quel poco di merchandising che gli rimane. Perché visto quello che costa non credo che si divertirebbe ad affittare l’Olimpico per un pugno di “aficionados” o di lecchini di turno, così come non credo che le televisioni accetterebbero di buon grado di trasmettere immagini desolanti di uno stadio semideserto continuando però a versare denari come se la Lazio fosse ancora il sesto bacino di utenza. Forse anche qualche porticina politica gli si chiuderebbe d’incanto e diventerebbe difficile per lui fare il bello e il cattivo tempo pure in Lega come fa da anni. Perché chi viene lasciato solo è infinitamente più debole di chi viene contestato.
Sperando che non si offenda, poi, continuiamo a stentare a credere che lui tifi veramente Lazio “dall’età di sei anni”. Magari voleva dire “da sei anni”, e comunque il suo tifare sa di poco di disinteressato e di passione, quella che ci ha portato a stare vicini a questa squadra anche quando stava ad un passo dal baratro sportivo. Già, perché qui si parla di passione, in alcuni casi di fede calcistica, e questa andrebbe alimentata e rispettata, non oltraggiata e ridotta a “sparute minoranze”, che poi tanto sparute non sono.
E’ condivisibile quando afferma che: “La qualità degli uomini non è legata alla loro storia sportiva. Bisogna essere degli esempi anche nella vita", peccato lo facciariferendosi ai grandi personaggi della storia biancocelesteda lui“esodati”. Quelli come Lovati o Pulicidai quali qualcosa abbiamo comunque imparato, mentre non riusciamo a trarre grandi esempi da seguire nei suoi di comportamenti, nei quali di laziale vediamo veramente poco. Per non dire nulla.
Di certo non ci ha insegnato l’umiltà, visto che afferma: "Sono avanti di cinque-dieci anni rispetto agli altri. Adesso in Lega l’hanno capito e mi ascoltano in silenzio, anche per questo il peso della Lazio è cresciuto”.
Che sia avanti qualche anno rispetto a noi comuni mortali ce lo auguriamo, ma solo nella speranza che questa agonia finisca anche solo fisiologicamente prima del previsto. Ma sul peso della Lazio bisogna capire se si riferisse alla possibilità di influire nelle decisioni che contano o ai chili complessivi della squadra, Dias in testa. O quando dopo l’esordio in Coppa di Felipe Andersion e Perea dal primo minuto dice: “Non sono sorpreso, i fatti mi stanno dando ragione, come sempre…”. E come sempre, aggiungiamo noi, si sarebbe eclissato senza quei due gol nel finale di Floccari con la complicità del portiere del Trabzonspor, Kivrak.
Lui dice “la Lazio è mia”, mentre la storia racconta che la Lazio non è stata di Lenzini, Gian Casoni, Chinaglia, Calleri o Cragnotti, e neppure della banca, ma della gente che non l’ha mai abbandonata. Perché, ad esempio, Lenzini, Gian Casoni, Chinaglia, Calleri e Cragnotti sono stati molto più proprietari di lui della Lazio, perché avevano tutta la società e non i due/terzi e andavano avanti con i soldi loro e di quelli che portavano i tifosi. E non hanno mai detto “la Lazio è mia”, estromettendo di fatto i tifosi, relegandoli in un angolo a semplici spettatori passivi del destino dellla società. Per questo Lenzini, Gian Casoni, Chinaglia, Calleri e Cragnotti sono stati i miei Presidenti, mentre Lotito non sarà mai il mio presidente. E sul figlio valuterò al momento opportuno, anche se spero di non dover mai fare un paragone con il padre, perché un Lotito è stato già abbastanza. Anche troppo.
Perché così come la Lazio è, e non deriva da qualcosa come altri, la Lazio non è di Lotito, ma un po’ di tutti: di quelli che fanno i sacrifici per seguirla, di quelli che anche se non stanno allo stadio hanno sempre un auricolare per sapere se vince o se perde, di quelli che la considerano la cosa più importante delle cose meno importanti, di chi come me il 14 Maggio del 2000 a Perugia aspettava il triplice fischio di Collina chiuso in macchina, con fuori il diluvio che imperversava e la gente che mi guardava incredula mentre ero stravolto dalla sofferenza.
Quindi basta con questi appropriamenti indebiti, basta con queste estorsioni di consenso preventivo, basta con questi atteggiamenti da guru. Ma se fosse realmente preso da crisi mistico-esistenziale e volesse rivolgersi veramente ad un santone, allora si rivolga al guru Affan! E vada pure e una volta per tutte “Affan guru”...
Lotito e il guru Affan...
di Paolo Scafati
Ci risiamo. Sono bastati un paio di buoni risultati e come d’incanto Lotito è rispuntato fuori, come i funghi che puntualmente sbucano in ogni dove con l’arrivo delle prime piogge che segnano la fine dell’estate e annunciano l’autunno. Lo ha fatto con la solita intervista senza contraddittorio, con l’ennesimo show in cui il giornalista o il comunicatore di turno non fa mai domande scomode o di quella elementare spontaneità dettata dalla logica di chi non può fare a meno di replicare davanti ad affermazioni assurde o autocelebrazioni in cui a volte si stravolge anche la realtà, fatti che sono sotto gli occhi di tutti. Insomma, mai un botta e risposta.
“La Lazio è mia e la gestisco io”, ha detto nel suo ultimo show nella sede de “Il Messaggero”, con uno slogan che ricorda quello degli anni 70 del movimento femminista in cui le donne rivendicavano la loro legittimità nel gestire il proprio corpo, soprattutto gli organi sessuali. Il paragone non è proprio dei più appropriati, ma il significato è lo stesso: non devono esserci ingerenze esterne nella gestione di ciò che si considera proprio.
E così, come ciclicamente accade, l’azionista di maggioranza viene con questa sua a dirci che non c’è trippa per gatti, che la Lazio è solo e soltanto sua, che l’ha pagata più di quanto valeva e che la risollevata portandola ai vertici e, dulcis in fundo, non la venderà…mai!
Di solito queste esternazioni le fa quando sente puzza di bruciato, quando ha paura che qualcuno voglia rubargli il giocattolo e, allora, speriamo che qualche male intenzionato ci sia veramente all’orizzonte!
Partendo dal presupposto che sulla cifra che (dice lui… ) ha pagato la Lazio nel 2004 rispetto al valore reale ci sarebbe da discutere a lungo (e comunicazione ufficiali alla mano sarebbe facile smentirlo), nessuno gli disconosce di avere operato inizialmente da buon ragioniere, riequilibrando una situazione debitoria resa tale soprattutto dalla gestione bancaria post Cragnotti, e che ha ottenuto anche grazie alle sue capacità, oltre che alla gente laziale scesa in piazza al suo richiamo alle armi, una dilazione del debito con l’Agenzia delle Entrate.
Con gli elogi, però, ci fermiamo qui, perché dopo sono seguiti solo comportamenti presuntuosi, offensivi, ipocriti e forse anche qualcosa di più. Perché ha subito accentrato tutti i poteri e le cariche su di lui, non ha trovato un direttore sportivo fino a Dicembre 2004, per poi defenestrarlo a Giugno così come con i successivi, fino a trovare in Tare il giusto consigliere di corte.
Perché in nome di un finto “risparmio” ha cacciato laziali che della società di cui lui si sente proprietario avevano fatto la storia: da Lovati a Patarca, passando per Pulici, tutta gente che avrebbe continuato a lavorare a Formello forse anche senza stipendio, perché loro la Lazio ce l’hanno dentro, non sul conto in banca.
Ha preso la scena con i suoi siparietti radio-televisivi, diventando in breve tempo una macchietta, una caricatura. E purtroppo lo ha fatto legando il suo nome sempre alla Lazio, ridicolizzando una tifoseria che ha sempre fatto dello stile la sua caratteristica pecuniaria in una città come Roma dove puponi e coatti hanno sempre fatto il bello e il cattivo tempo.
Mitiche le sue partecipazioni né “I Cesaroni” vicino ad Amendola o né ”L’allenatore nel pallone 2” in cui duetta con Banfi, guarda caso due tifosi della Roma dichiarati. Interminabili i suoi escursus storici e filosofici per parlare di “calcio”, indimenticabili le sue frasi latine, esilaranti le scuse addotte per il puntuale mancato arrivo di rinforzi per la squadra alla fine di ogni sessione di mercato. Noi laziali, secondo lui, dobbiamo capire che “la società è sua e la gestisce come meglio crede”, quindi dobbiamo soltanto fare gli abbonamenti, pagare Sky e Mediaset Premium, comprare magliette e tute e ringraziarlo in eterno.
La realtà, invece, è che visto che la Lazio è sua, allora andrebbe lasciato proprio solo, senza abbonamenti allo stadio o alle Pay tv e senza quel poco di merchandising che gli rimane. Perché visto quello che costa non credo che si divertirebbe ad affittare l’Olimpico per un pugno di “aficionados” o di lecchini di turno, così come non credo che le televisioni accetterebbero di buon grado di trasmettere immagini desolanti di uno stadio semideserto continuando però a versare denari come se la Lazio fosse ancora il sesto bacino di utenza. Forse anche qualche porticina politica gli si chiuderebbe d’incanto e diventerebbe difficile per lui fare il bello e il cattivo tempo pure in Lega come fa da anni. Perché chi viene lasciato solo è infinitamente più debole di chi viene contestato.
Sperando che non si offenda, poi, continuiamo a stentare a credere che lui tifi veramente Lazio “dall’età di sei anni”. Magari voleva dire “da sei anni”, e comunque il suo tifare sa di poco di disinteressato e di passione, quella che ci ha portato a stare vicini a questa squadra anche quando stava ad un passo dal baratro sportivo. Già, perché qui si parla di passione, in alcuni casi di fede calcistica, e questa andrebbe alimentata e rispettata, non oltraggiata e ridotta a “sparute minoranze”, che poi tanto sparute non sono.
E’ condivisibile quando afferma che: “La qualità degli uomini non è legata alla loro storia sportiva. Bisogna essere degli esempi anche nella vita", peccato lo facciariferendosi ai grandi personaggi della storia biancocelesteda lui“esodati”. Quelli come Lovati o Pulicidai quali qualcosa abbiamo comunque imparato, mentre non riusciamo a trarre grandi esempi da seguire nei suoi di comportamenti, nei quali di laziale vediamo veramente poco. Per non dire nulla.
Di certo non ci ha insegnato l’umiltà, visto che afferma: "Sono avanti di cinque-dieci anni rispetto agli altri. Adesso in Lega l’hanno capito e mi ascoltano in silenzio, anche per questo il peso della Lazio è cresciuto”.
Che sia avanti qualche anno rispetto a noi comuni mortali ce lo auguriamo, ma solo nella speranza che questa agonia finisca anche solo fisiologicamente prima del previsto. Ma sul peso della Lazio bisogna capire se si riferisse alla possibilità di influire nelle decisioni che contano o ai chili complessivi della squadra, Dias in testa. O quando dopo l’esordio in Coppa di Felipe Andersion e Perea dal primo minuto dice: “Non sono sorpreso, i fatti mi stanno dando ragione, come sempre…”. E come sempre, aggiungiamo noi, si sarebbe eclissato senza quei due gol nel finale di Floccari con la complicità del portiere del Trabzonspor, Kivrak.
Lui dice “la Lazio è mia”, mentre la storia racconta che la Lazio non è stata di Lenzini, Gian Casoni, Chinaglia, Calleri o Cragnotti, e neppure della banca, ma della gente che non l’ha mai abbandonata. Perché, ad esempio, Lenzini, Gian Casoni, Chinaglia, Calleri e Cragnotti sono stati molto più proprietari di lui della Lazio, perché avevano tutta la società e non i due/terzi e andavano avanti con i soldi loro e di quelli che portavano i tifosi. E non hanno mai detto “la Lazio è mia”, estromettendo di fatto i tifosi, relegandoli in un angolo a semplici spettatori passivi del destino dellla società. Per questo Lenzini, Gian Casoni, Chinaglia, Calleri e Cragnotti sono stati i miei Presidenti, mentre Lotito non sarà mai il mio presidente. E sul figlio valuterò al momento opportuno, anche se spero di non dover mai fare un paragone con il padre, perché un Lotito è stato già abbastanza. Anche troppo.
Perché così come la Lazio è, e non deriva da qualcosa come altri, la Lazio non è di Lotito, ma un po’ di tutti: di quelli che fanno i sacrifici per seguirla, di quelli che anche se non stanno allo stadio hanno sempre un auricolare per sapere se vince o se perde, di quelli che la considerano la cosa più importante delle cose meno importanti, di chi come me il 14 Maggio del 2000 a Perugia aspettava il triplice fischio di Collina chiuso in macchina, con fuori il diluvio che imperversava e la gente che mi guardava incredula mentre ero stravolto dalla sofferenza.
Quindi basta con questi appropriamenti indebiti, basta con queste estorsioni di consenso preventivo, basta con questi atteggiamenti da guru. Ma se fosse realmente preso da crisi mistico-esistenziale e volesse rivolgersi veramente ad un santone, allora si rivolga al guru Affan! E vada pure e una volta per tutte “Affan guru”...
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Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
Ambasciator Dabo: "In Francia mi fanno intuire di dover criticare la Nord, ma i laziali non sono razzisti"
"In Francia spesso mi chiedono di parlare del rapporto con la Lazio, facendomi intuire di dover criticare la Curva Nord. Io ribadisco sempre che mai i laziali mi hanno fatto cori razzisti; anche il mio amico Cissè lo ha detto. Per non parlare di Cavanda, che alla Lazio si trova benissimo. I media francesi - spiega Dabo - forse per appoggiare Platini, annichiliscono la Lazio invocando singoli episodi spiacevoli. Tuttavia credo che il laziale non sia razzista: come giustificheremmo allora i cori, di pochi, contro i polacchi? Non è un razzismo per il colore, ma forse avviene a seguito di offese dalle altre tifoserie: non dimentichiamo per esempio cosa hanno fatto i tifosi del Legia nel pre partita a Roma, camminando persino nudi e caricando le forze dell’ordine nei luoghi turistici più sensibili”.
- rionePrati
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Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
Da leggere tutto...Il "buon samaritano" Lotito, incassa 6 milioni di euro dalla Lazio
di Stefano Greco
• Roma Union Security, sostenendo un costo complessivo di Euro 0,70 milioni, riferito sostanzialmente al servizio di vigilanza del centro sportivo di Formello,;
• Gasoltermica Laurentina, sostenendo un costo complessivo di Euro 2,5 milioni, relativo principalmente a manutenzioni ordinarie e straordinarie, nonché ai lavori di ristrutturazione del centro sportivo di Formello e dell’immobile in Via Valenziani, ed alla gestione del magazzino merci della SS Lazio Marketing;
• Omnia Service, sostenendo un costo complessivo per Euro 0,01 milioni, per il servizio di catering in occasione delle partite di Europa League;
• Linda, sostenendo un costo complessivo per Euro 0,25 milioni, per servizi di assistenza ai processi organizzativi e logistici aziendali;
• Snam Sud sostenendo un costo complessivo per Euro 0,32 milioni, per servizi di assistenza ai sistemi informatici;
• Bona Dea, sostenendo un costo complessivo per Euro 0,17 milioni, per servizi di assistenza alle procedure di amministrazione del personale;
• U.S. Salernitana sostenendo un costo complessivo di Euro 1,45 milioni, per l’utilizzo di diritti commerciali e pubblicitari.
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Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
rispetto all anno scorso
7 punti in meno
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5 goal subiti in piu'
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As i Lay me down to sleep
I pray my soul is mine to keep
And never step outside this bed
let into all the evil
NOW BACK FROM THE DEATH.
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Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
34 anni d'insulti e colpevoli silenzi: Roma si svegli, Paparelli merita rispetto
Una vita, perché 34 anni sono più di quanto è stato concesso di vivere a Vincenzo Paparelli. 34 anni sono tanti, abbastanza per accorgersi dello scempio che si perpetra ogni giorno. Una vergogna che – alla faccia del progresso- ha ripreso vigore negli ultimi tempi. Scritte, adesivi, cori e chi più ne ha più ne metta. Il bersaglio? Uno solo: infangare e sporcare la memoria di Vincenzo Paparelli. Lui, tifoso Laziale, morto il 28 ottobre 1979, in Curva Nord, colpito in pieno volto da un razzo partito dalla sud. Un razzo segnalatore, di quelli che si usavano sulle navi. Un gesto folle, costato la vita a un padre di famiglia che era allo stadio come sempre, per poi tornare alla vita di tutti i giorni occupata dalla famiglia e dall’officina che gestiva con il fratello. L’assassino si chiamava Giovanni Fiorillo, anche lui non c’è più, viveva da latitante, è morto nel 1993 pure lui a 33 anni. Non ha mai scontato i 6 anni di carcere ai quali era stato condannato per omicidio preterintenzionale. Il problema è grave e va enfatizzato, oltre che analizzato. Perché Roma, che un tempo era caput mundi, deve fare i conti con una piaga che non fa notizia come i cori di discriminazione territoriale o i buu razzisti, ma esiste ed è sintomo di un’inciviltà tutt’altro che latente. Cosa spinge un essere umano a comprare una bomboletta e imbrattare un muro con scritte insultanti la memoria di un uomo morto 34 anni fa? Cosa spinge decine di persone a intonare cori infami la domenica allo stadio? La questione non è semplice. Parliamo d’inciviltà e ci siamo. Ma se questo è un problema così diffuso, perché allora non accade lo stesso dall’altra parte? Perché i Laziali non infangano la memoria dei vari De Falchi, Di Bartolomei e dello stesso Fiorillo? Questione di valori. Forse. Perché sembrerà una scemenza, ai più incomprensibile, ma essere Laziale è anche e soprattutto questo. Distinzione. Un valore che hai, che ti cresce dentro vivendo in una città difficile, dove il branco è giallorosso e se sei Laziale devi farci i conti. Distinguersi, essere diverso, non appiattirsi alla massa, ripudiare l’omologazione anche mass-mediatica. Crescere sulle orme dei propri padri, rispettando alcuni precetti basilari, tra i quali c’è quello di rispettare chi non c’è più. Perché se vivi di Lazio, in una città come Roma vivi d’amor puro, antitesi di morte. A-mors, per i latini l’amore era la negazione dell’estinzione. Un sentimento eterno, immortale che, però, porta a rispettare quel “rivale” che c’è e a volte tocca e segna la storia. Rispettare la morte, vuol dire soprattutto rispettare chi è non c’è più, preda di un nemico che, a volte, appare in maniera improvvisa, ferisce e lascia cicatrici a chi rimane e quei segni stanno lì a ricordare che mai è ammesso il vilipendio a chi non è più qui. E chi se ne frega dei colori e delle differenze. Questo è. Così vedere che, dall’altra parte, questo “codice etico” non da tutti viene rispettato fa ancora più male. Inutile dire che la maggioranza dei tifosi romanisti è da escludere dal discorso perché generalizzare è ingiusto e pericoloso, ma indigna vedere scritte che compaiono puntuali nel giorno che dovrebbe essere del ricordo e del silenzio. Un giorno di riflessione che permetta anche ai meno dotati di intelligenza e sensibilità di fermarsi e pensare. Perché Vincenzo Paparelli merita che la sua memoria venga preservata e non sporcata e i suoi figli meritano silenzio e rispetto. Perché Vincenzo è morto giovane, allo stadio, giovane e curvarolo, proprio come te, imbecille, che canti cori e scrivi sui muri senza che i tromboni che si scandalizzano di tutto, si indignino per i tuoi beceri gesti. Quello che devono sopportare i parenti di Vincenzo, da 34 anni, è sì discriminante, perché sono insulti ad personam, fatti con il fine di affondare in una ferita mai chiusa. Una viltà della quale stanno diventando complici anche le Istituzioni che, mai, abbiamo sentito schierarsi con forza dalla parte della famiglia Paparelli. Sarebbe bello se il sindaco di Roma prendesse parola su questo tema e rivolgesse solidarietà alla famiglia di Vincenzo. Sarebbe bello e ce lo aspettiamo. Magari già oggi. Perché oggi, ancor più di ogni giorno, Vincenzo da lassù ci guarda, magari un po’ schifato, ma pronto –con quel suo cuore grande- anche a perdonarci
Una vita, perché 34 anni sono più di quanto è stato concesso di vivere a Vincenzo Paparelli. 34 anni sono tanti, abbastanza per accorgersi dello scempio che si perpetra ogni giorno. Una vergogna che – alla faccia del progresso- ha ripreso vigore negli ultimi tempi. Scritte, adesivi, cori e chi più ne ha più ne metta. Il bersaglio? Uno solo: infangare e sporcare la memoria di Vincenzo Paparelli. Lui, tifoso Laziale, morto il 28 ottobre 1979, in Curva Nord, colpito in pieno volto da un razzo partito dalla sud. Un razzo segnalatore, di quelli che si usavano sulle navi. Un gesto folle, costato la vita a un padre di famiglia che era allo stadio come sempre, per poi tornare alla vita di tutti i giorni occupata dalla famiglia e dall’officina che gestiva con il fratello. L’assassino si chiamava Giovanni Fiorillo, anche lui non c’è più, viveva da latitante, è morto nel 1993 pure lui a 33 anni. Non ha mai scontato i 6 anni di carcere ai quali era stato condannato per omicidio preterintenzionale. Il problema è grave e va enfatizzato, oltre che analizzato. Perché Roma, che un tempo era caput mundi, deve fare i conti con una piaga che non fa notizia come i cori di discriminazione territoriale o i buu razzisti, ma esiste ed è sintomo di un’inciviltà tutt’altro che latente. Cosa spinge un essere umano a comprare una bomboletta e imbrattare un muro con scritte insultanti la memoria di un uomo morto 34 anni fa? Cosa spinge decine di persone a intonare cori infami la domenica allo stadio? La questione non è semplice. Parliamo d’inciviltà e ci siamo. Ma se questo è un problema così diffuso, perché allora non accade lo stesso dall’altra parte? Perché i Laziali non infangano la memoria dei vari De Falchi, Di Bartolomei e dello stesso Fiorillo? Questione di valori. Forse. Perché sembrerà una scemenza, ai più incomprensibile, ma essere Laziale è anche e soprattutto questo. Distinzione. Un valore che hai, che ti cresce dentro vivendo in una città difficile, dove il branco è giallorosso e se sei Laziale devi farci i conti. Distinguersi, essere diverso, non appiattirsi alla massa, ripudiare l’omologazione anche mass-mediatica. Crescere sulle orme dei propri padri, rispettando alcuni precetti basilari, tra i quali c’è quello di rispettare chi non c’è più. Perché se vivi di Lazio, in una città come Roma vivi d’amor puro, antitesi di morte. A-mors, per i latini l’amore era la negazione dell’estinzione. Un sentimento eterno, immortale che, però, porta a rispettare quel “rivale” che c’è e a volte tocca e segna la storia. Rispettare la morte, vuol dire soprattutto rispettare chi è non c’è più, preda di un nemico che, a volte, appare in maniera improvvisa, ferisce e lascia cicatrici a chi rimane e quei segni stanno lì a ricordare che mai è ammesso il vilipendio a chi non è più qui. E chi se ne frega dei colori e delle differenze. Questo è. Così vedere che, dall’altra parte, questo “codice etico” non da tutti viene rispettato fa ancora più male. Inutile dire che la maggioranza dei tifosi romanisti è da escludere dal discorso perché generalizzare è ingiusto e pericoloso, ma indigna vedere scritte che compaiono puntuali nel giorno che dovrebbe essere del ricordo e del silenzio. Un giorno di riflessione che permetta anche ai meno dotati di intelligenza e sensibilità di fermarsi e pensare. Perché Vincenzo Paparelli merita che la sua memoria venga preservata e non sporcata e i suoi figli meritano silenzio e rispetto. Perché Vincenzo è morto giovane, allo stadio, giovane e curvarolo, proprio come te, imbecille, che canti cori e scrivi sui muri senza che i tromboni che si scandalizzano di tutto, si indignino per i tuoi beceri gesti. Quello che devono sopportare i parenti di Vincenzo, da 34 anni, è sì discriminante, perché sono insulti ad personam, fatti con il fine di affondare in una ferita mai chiusa. Una viltà della quale stanno diventando complici anche le Istituzioni che, mai, abbiamo sentito schierarsi con forza dalla parte della famiglia Paparelli. Sarebbe bello se il sindaco di Roma prendesse parola su questo tema e rivolgesse solidarietà alla famiglia di Vincenzo. Sarebbe bello e ce lo aspettiamo. Magari già oggi. Perché oggi, ancor più di ogni giorno, Vincenzo da lassù ci guarda, magari un po’ schifato, ma pronto –con quel suo cuore grande- anche a perdonarci
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Pensieri e Parole sugli aquilotti 2013/2014
Roma, primato nella Serie A unica. Ma la Lazio arrivò a 14
I cugini biancocelesti fecero meglio nel campionato 1913-1914
La Roma battendo il Chievo ha centrato la decima vittoria consecutiva in avvio di campionato stabilendo il record per la Serie A a girone unico (precedentemente il primato era condiviso con la Juventus targata 2005-06). Il record assoluto in un campionato italiano, comprendendo cioè anche quelli antecedenti il girone unico, ovvero quelli disputati dal 1898 al 1928-29, appartiene alla Lazio con 14 successi nel campionato di Prima Categoria 1913-14. I biancocelesti in quella stagione vinsero tutte e 10 le partite del girone laziale (superando per due volte la Roman, la Juventus Audax, l’Audace, la Fortitudo e la Pro Roma, con 52 reti fatte e 5 subite), quindi arrivarono 4 successi nelle finali del Centro-Sud, battendo prima la Spes Livorno e poi ancora l’Internazionale Napoli sia all’andata sia al ritorno. Lazio che poi fu sconfitta nella finale nazionale per 7-1 dal Casale il 5 luglio 1914 (al ritorno romani di nuovo k.o. per 2-0 in casa).
I cugini biancocelesti fecero meglio nel campionato 1913-1914
La Roma battendo il Chievo ha centrato la decima vittoria consecutiva in avvio di campionato stabilendo il record per la Serie A a girone unico (precedentemente il primato era condiviso con la Juventus targata 2005-06). Il record assoluto in un campionato italiano, comprendendo cioè anche quelli antecedenti il girone unico, ovvero quelli disputati dal 1898 al 1928-29, appartiene alla Lazio con 14 successi nel campionato di Prima Categoria 1913-14. I biancocelesti in quella stagione vinsero tutte e 10 le partite del girone laziale (superando per due volte la Roman, la Juventus Audax, l’Audace, la Fortitudo e la Pro Roma, con 52 reti fatte e 5 subite), quindi arrivarono 4 successi nelle finali del Centro-Sud, battendo prima la Spes Livorno e poi ancora l’Internazionale Napoli sia all’andata sia al ritorno. Lazio che poi fu sconfitta nella finale nazionale per 7-1 dal Casale il 5 luglio 1914 (al ritorno romani di nuovo k.o. per 2-0 in casa).
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rionePrati ha scritto:Roma, primato nella Serie A unica. Ma la Lazio arrivò a 14
I cugini biancocelesti fecero meglio nel campionato 1913-1914
La Roma battendo il Chievo ha centrato la decima vittoria consecutiva in avvio di campionato stabilendo il record per la Serie A a girone unico (precedentemente il primato era condiviso con la Juventus targata 2005-06). Il record assoluto in un campionato italiano, comprendendo cioè anche quelli antecedenti il girone unico, ovvero quelli disputati dal 1898 al 1928-29, appartiene alla Lazio con 14 successi nel campionato di Prima Categoria 1913-14. I biancocelesti in quella stagione vinsero tutte e 10 le partite del girone laziale (superando per due volte la Roman, la Juventus Audax, l’Audace, la Fortitudo e la Pro Roma, con 52 reti fatte e 5 subite), quindi arrivarono 4 successi nelle finali del Centro-Sud, battendo prima la Spes Livorno e poi ancora l’Internazionale Napoli sia all’andata sia al ritorno. Lazio che poi fu sconfitta nella finale nazionale per 7-1 dal Casale il 5 luglio 1914 (al ritorno romani di nuovo k.o. per 2-0 in casa).
Si narra che nel 1309 d.c. un templare de Frosinone della lazie con la sua squadra ne ha vinte 15 di seguito...
S.S. Lazio 1900 "quelli che hanno portato il calcioSCOMMESSE a Roma"...
S.S. Lazio 1900 la società calcistica italiana più implicata negli scandali del calcioscommese...ancora parlano di moralità e etica sportiva...
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...il record sarebbe il suo!Shailok ha scritto:rionePrati ha scritto:Roma, primato nella Serie A unica. Ma la Lazio arrivò a 14
I cugini biancocelesti fecero meglio nel campionato 1913-1914
La Roma battendo il Chievo ha centrato la decima vittoria consecutiva in avvio di campionato stabilendo il record per la Serie A a girone unico (precedentemente il primato era condiviso con la Juventus targata 2005-06). Il record assoluto in un campionato italiano, comprendendo cioè anche quelli antecedenti il girone unico, ovvero quelli disputati dal 1898 al 1928-29, appartiene alla Lazio con 14 successi nel campionato di Prima Categoria 1913-14. I biancocelesti in quella stagione vinsero tutte e 10 le partite del girone laziale (superando per due volte la Roman, la Juventus Audax, l’Audace, la Fortitudo e la Pro Roma, con 52 reti fatte e 5 subite), quindi arrivarono 4 successi nelle finali del Centro-Sud, battendo prima la Spes Livorno e poi ancora l’Internazionale Napoli sia all’andata sia al ritorno. Lazio che poi fu sconfitta nella finale nazionale per 7-1 dal Casale il 5 luglio 1914 (al ritorno romani di nuovo k.o. per 2-0 in casa).
Si narra che nel 1309 d.c. un templare de Frosinone della lazie con la sua squadra ne ha vinte 15 di seguito...
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Dai su non cadiamo nel ridicolo...rionePrati ha scritto:...il record sarebbe il suo!Shailok ha scritto:rionePrati ha scritto:Roma, primato nella Serie A unica. Ma la Lazio arrivò a 14
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La Roma battendo il Chievo ha centrato la decima vittoria consecutiva in avvio di campionato stabilendo il record per la Serie A a girone unico (precedentemente il primato era condiviso con la Juventus targata 2005-06). Il record assoluto in un campionato italiano, comprendendo cioè anche quelli antecedenti il girone unico, ovvero quelli disputati dal 1898 al 1928-29, appartiene alla Lazio con 14 successi nel campionato di Prima Categoria 1913-14. I biancocelesti in quella stagione vinsero tutte e 10 le partite del girone laziale (superando per due volte la Roman, la Juventus Audax, l’Audace, la Fortitudo e la Pro Roma, con 52 reti fatte e 5 subite), quindi arrivarono 4 successi nelle finali del Centro-Sud, battendo prima la Spes Livorno e poi ancora l’Internazionale Napoli sia all’andata sia al ritorno. Lazio che poi fu sconfitta nella finale nazionale per 7-1 dal Casale il 5 luglio 1914 (al ritorno romani di nuovo k.o. per 2-0 in casa).
Si narra che nel 1309 d.c. un templare de Frosinone della lazie con la sua squadra ne ha vinte 15 di seguito...
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Che ce frega dei record, a me piace il violino
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adrian28scbr ha scritto:Che ce frega dei record, a me piace il violino
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Cerci di cambiare discorso!?adrian28scbr ha scritto:Che ce frega dei record, a me piace il violino
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rionePrati ha scritto:Cerci di cambiare discorso!?adrian28scbr ha scritto:Che ce frega dei record, a me piace il violino
questa è bella ottimo rione
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